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Democrazia e Futuro

Transizione ecologica e transizione energetica: implicazioni geopolitiche

  

Transizione ecologica: si tratta di un termine entrato ormai a far parte del gergo comune. Un po’ per moda e un po’ perché sospinto da pressanti esigenze collegate al riscaldamento della terra, al conseguente cambiamento climatico e alla necessità di trasformare l’economia mondiale e il bilancio energetico delle sue attività produttive in una forma compatibile con la scarsità e l’indispensabilità delle risorse naturali.
L’incontro di due giorni organizzato dal Circolo culturale La Scaletta di Matera (il 14 e 15 ottobre), con la Prof.ssa Valeria Termini, nell’ambito del ciclo di seminari di formazione Democrazia e Futuro, ha permesso di affrontare questo tema con l’attenzione che le è dovuto, ma anche senza quell’alone di retorica che spesso sembra accompagnarlo, soprattutto da quando Green è diventato un attributo di moda.
Valeria Termini è un’economista, è ordinario di Economia politica all’Università degli studi di Roma Tre, ma è anche uno dei massimi consulenti in materia di transizione ecologica di diverse istituzioni italiane e internazionali. Un rapido sguardo al suo curriculum vitae restituisce un’immagine immediata di cosa voglia dire occuparsi di un tema di frontiera interfacciandosi con agenzie non governative e istituzioni di governo di primo piano a livello mondiale.
Dal gennaio dello scorso anno fa parte del Technical Workgroup on Investment and Finance delle Nazioni Unite, nell’ambito dell’High Level Energy Dialogue 2021 - COP 26. Fra il 2011 e il 2018 ha ricoperto altre importanti cariche internazionali, poichè è stata Vice Presidente del Mediterranean Energy Regulator e del Council of European Energy Regulators, oltre che membro del Board dell’Agency for Cooperation of Energy Regulators.
Ha inoltre guidato la Delegazione italiana per l’Energia e i Cambiamenti climatici al G8, alle Nazioni Unite e presso l’OECD negli anni del Governo Prodi. Ha avuto la guida della Scuola Superiore dell’Amministrazione Pubblica nel triennio 2006/09, ed è stata Vice Presidente dell’Associazione europea delle Scuole di amministrazione pubblica, per poi diventare Presidente dell’International Association of Schools and Institutes of Administration, che ha guidato fra il 2010 e il 2013. Nello stesso periodo ha fatto parte del Committee of Experts on Public Administration (CEPA) di ECOSOC delle Nazioni Unite per il quadriennio 2010-2014.
Valeria Termini è quindi una studiosa che porta in dotazione, oltre ad ampie e riconosciute competenze nell’ambito dell’economia ambientale e delle politiche energetiche, un’esperienza internazionale di primo livello, che ne fa la persona più adatta a parlare di transizione ecologica ed energetica in una prospettiva attenta sia alle variabili economiche sia a quelle politico-istituzionali e geopolitiche, che su un terreno come quello dell’ambiente e dell’energia sono dotate di una rilevanza del tutto particolare.
Un drammatico quanto attualissimo esempio ci è offerto dal conflitto fra Russia e Ucraina, e il  serrato confronto che esso ha inaugurato fra mondo occidentale e Russia, a seguito delle sanzioni comminate al Cremlino e della guerra sulle fonti energetiche scatenata per ritorsione da quest’ultimo.
Proprio a seguito della guerra in Ucraina, ci stiamo rendendo conto che la transizione ecologica non è soltanto una scelta obbligata in una prospettiva temporale di lungo periodo, necessaria per rispondere concretamente alle legittime aspettative delle nuove generazioni, che rischiano di pagare un costo troppo elevato per il riscaldamento della terra e il cambiamento climatico, ma anche una strategia necessaria nel medio periodo, per neutralizzare gli effetti di quella dipendenza energetica extracomunitaria che sono costretti a scontare diversi Paesi europei, a cominciare dalla Germania e dall’Italia.
Siamo nel pieno di una partita di straordinaria importanza strategica, che ha drammaticamente avuto inizio con il conflitto russo-ucraino, e che porterà alla definizione di un nuovo equilibrio geopolitico globale, che avrà per principali protagonisti gli Stati Uniti e la Cina, nel quale l’Unione Europea dovrà trovare una sua opportuna collocazione, in uno scacchiere internazionale in cui non solo la Russia, ma anche molti altri Paesi, dall’Africa al Sud America, dal Medio all’Estremo Oriente, saranno schierati in opposizione al mondo occidentale. In questo stesso scenario si situerà anche l’Italia, che per svolgere un ruolo in questo nuovo assetto, dovrà interrogarsi su quale ruolo svolgere, rispetto alla sua adesione all’alleanza atlantica e alla sua appartenenza nell’Unione Europea.
In particolare, proprio per quel che concerne l’Italia, guardando con la dovuta consapevolezza, oltre che con il necessario distacco, allo scenario internazionale nel quale essa si colloca, risulta chiaro come le due direttrici fondamentali della propria collocazione strategica non possano che essere il Mediterraneo e l’Africa, che a loro volta rinviano al ruolo che il Mezzogiorno è destinato ad avere nel futuro del nostro Paese. Mediterraneo e Africa, congiuntamente al ruolo del Mezzogiorno, individuano con chiarezza come asse portante dello sviluppo energetico italiano la direttrice Sud, al pari della Francia, di cui occorre ricordare la tradizionale attenzione verso il continente africano (francafrique docet) e a differenza della Germania, la cui direttrice di sviluppo è a Nord.
Non è in questo senso un caso che la strategia perseguita dal governo Draghi, per fronteggiare l’emergenza energetica causata dalla crisi delle relazioni diplomatiche con la Russia, si sia indirizzata alla ricerca di fonti energetiche alternative a quelle russe nel Maghreb e nel resto dell’Africa.
Un’attenzione privilegiata verso l’Africa e la direttrice Sud rappresenta anche un’opzione strategica in grado di compensare l’attuale focalizzazione pressoché esclusiva dell’Unione Europea verso  Nord, per ragioni legate, da un lato, all’importanza strategica delle Repubbliche baltiche e della Finlandia nel confronto a distanza con la Russia e, dall’altro, alla rilevanza economica di gasdotti quali Nord Strem e, in prospettiva, Nord Stream 2, fondamentali per l’approvvigionamento energetico della Germania e di altri Paesi dell’Europa occidentale.
In altri termini, guardare verso il Mediterraneo e l’Africa, per l’Italia, e di conseguenza per i Paesi dell’Europa meridionale, a cominciare dalla Francia, vuol dire bilanciare lo strabismo tradizionale europeo che guarda sempre in maniera privilegiata verso Nord, al quale oggi si associa l’inevitabile attenzione da assegnare alla frontiera orientale per via della guerra in corso in Ucraina.
E in particolare, gettare uno sguardo verso l’Africa, per l’Europa, vuol dire anche non lasciare campo aperto in quello che sarà il continente protagonista del nuovo millennio, soprattutto per le sue risorse naturali, a Cina e Russia, che già da tempo sono presenti nel continente africano, ben conoscendo anche la storica distrazione verso il continente nero degli Stati Uniti, da sempre molto più attenti alla difesa dei propri interessi in Medio oriente.
In questo modo, l’Italia potrebbe favorire un rinnovato interesse dell’Europa verso l’Africa, facendosi promotrice attiva di quegli investimenti che l’Unione Europea sarebbe in grado di sostenere in quel continente anche se non ha finora mai pensato di farlo. Investimenti che sarebbero anche utili a contrastare quei poderosi flussi migratori verso gli Stati europei che, in assenza di uno sviluppo autoctono, saranno inevitabilmente destinati a incrementarsi nei prossimi anni.
Inoltre, l’Unione Europea avrebbe sicuramente più chance di contribuire efficacemente alla pacificazione dei Paesi africani di quante concretamente non ne abbiano Cina, Russia o Stati Uniti.
L’attenzione verso il continente africano potrebbe trovare un’adeguata declinazione in politiche per lo sviluppo energetico nel segno della cooperazione internazionale, mettendo a frutto le opportunità offerte da un modello come quello delle comunità energetiche locali, che gli Stati africani più poveri  sarebbero in grado di applicare in maniera proficua, oltre che con costi contenuti. E proprio l’investimento nelle comunità energetiche locali, potrebbe produrre importanti benefici diretti e indiretti, in termini sia di sviluppo economico, oltre che di scambio commerciale, sia di contenimento dei flussi migratori.
Questo è soltanto un esempio di quanto la transizione ecologica e le politiche energetiche che da essa potrebbero originare, possano rappresentare un tassello importante di una strategia internazionale che, nella ricerca di un nuovo equilibrio geopolitico, sia indirizzata verso nuovi obiettivi di pace, armonia e cooperazione.
Del resto, proprio la questione ambientale contribuisce in maniera decisiva ad accrescere la nostra consapevolezza dell’elevato grado di interdipendenza che contraddistingue il mondo in cui viviamo. Un’interdipendenza che si declina principalmente rispetto ai comuni destini dell’umanità planetaria, oltre che all’indissolubile rapporto di reciprocità che lega nel corso del tempo le diverse generazioni di oggi e di domani.
In tal senso, il riscaldamento della terra e il cambiamento climatico costituiscono per noi un’esperienza formidabile di ciò che è la nostra fragilità, oltre che la straordinaria interdipendenza che ci lega, come esseri umani destinati ad abitare la terra in una logica di sostenibilità che se, da un lato, riguarda la compatibilità fra le attività umane e l’ambiente naturale, dall’altro investe la capacità di sopravvivenza della nostra specie su questo pianeta.
Come ebbe a dire John Fitzgerald Kennedy nel suo discorso sulla pace pronunciato alla Washington State University nel 1962: «in ultima analisi, il legame fondamentale che unisce tutti noi è che abitiamo tutti su questo piccolo pianeta, respiriamo tutti la stessa aria, abbiamo tutti a cuore il futuro dei nostri figli. E siamo tutti solo di passaggio».
Quel discorso fu pronunciato in un contesto internazionale caratterizzato da forti tensioni, che solo per il determinato impegno verso la pace di USA e URSS riuscì a scongiurare il rischio di una guerra nucleare globale. Un clima che purtroppo oggi torniamo ad avvertire con grande apprensione, per quel che sta accadendo da circa dieci mesi in Ucraina. Eppure, se guardiamo oltre il conflitto, e oltre la guerra ibrida alla quale ci costringe l’andamento speculativo dei prezzi sull’energia, ci rendiamo conto che proprio le questioni ambientali rappresentano un fattore comune della nostra esistenza, un vincolo al quale non possiamo sottrarci, proprio perché tutti abitiamo questo piccolo pianeta.

 

Luciano Fasano

(Professore e Coordinatore Scientifico per il Circolo culturale La Scaletta del Progetto “Democrazia e Futuro”)

 

 

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