"Sovente è necessario alla vita che l’arte intervenga a disciplinarla…"
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Emoji: l’alfabeto emotivo della comunicazione digitale
L’immediatezza dell’immagine rispetto alla parola sembra un concetto ovvio ed evidente ma, partendo da un’ampia riflessione sulla sublime articolazione del linguaggio grafico nella storia dell’umanità, è interessante osservare come il “di-segno” sia una pratica astratta universale basata sull’integrazione di due dei bisogni primari della nostra specie: comunicare e dare espressione all’impulso creativo.
Da una prospettiva storico-antropologica, i simboli grafici sono intesi come frutto di una sintesi evolutiva che ha portato l’uomo dall’ambiguità dell’interpretazione visiva alla vera e propria traduzione fonetica.
Come è noto, lo studio della rappresentazione/espressione simbolica attraverso i segni è uno degli ambiti della ricerca scientifica e umanistica più antico, complesso e “affollato”. Seppur convenzionalmente oggi rivendicato come territorio della Semiotica, infatti, è una “Meta Zone” in cui convergono, in realtà, gli approcci multidisciplinari più vari, dalla filosofia alla linguistica, dalla psicologia alle neuroscienze. Tutti, come esseri umani, condividiamo immaginari collettivi simbolici nelle varie dimensioni storiche, sociali e culturali di una comunità, in dinamiche di interpretazione che vanno spesso oltre la soggettività, nonostante l’assunto che “significato e significante” siano comunque sempre soggetti alle variabili spazio- temporali e dei contesti.
Nella contemporanea Era Digitale i modelli e le forme stanno trovando nuove geometrie evolutive. Tra queste grande spazio trovano gli Emoji che, pur non rispondendo (sempre in teoria, s’intende) alle complete esigenze comunicative, di fatto, sono la punteggiatura emotiva della comunicazione globalizzata del nostro millennio.
La storia di quel corpus in continuo ampliamento di gialle faccine e divertenti iconcine che ormai sono la grammatica della nostra quotidiana lingua da “connessi” è poco conosciuta, ma a mio avviso molto interessante e sorprendente per la quantità di rimandi, collegamenti e spunti ludico-fascinatori per le menti logiche più curiose e intraprendenti.
In principio fu l’Emoticon!
La parola nasce dall’incontro didascalico dei termini inglesi emotion e icon (in italiano, “emozione” e “icona”), coniata per indicare una piccola immagine che esprime emozioni. Semplificando :-) è icona di una faccia sorridente ma anche simbolo dell'allegria, della serenità, mentre :-( è icona di una faccia triste e simbolo del concetto di tristezza.
La tradizione narra che l'inventore dei segni pittografici denominati emoticon fu l'informatico statunitense Scott Fahlman che usò proprio le emoticon :-) e :-( in un documento pubblicato il 19 settembre 1982 su un BBS – ossia una bacheca elettronica, sorta di community online primordiale – dell'università Carnegie Mellon, in cui era insegnante.
La rapida diffusione delle emoticon nel web, hanno poi rappresentato un passaggio epocale nello stimolo per una comunicazione creativa, grazie alla rivoluzione che Internet ha operato attraverso i processi di democratizzazione che hanno superato la logica “impositiva” dei mass media. In estrema sintesi: tutti gli utenti sono diventati potenziali autori di contenuti.
Giusto per aprire una parentesi sulle curiosità: alcuni emoticon raffigurano spesso protagonisti o personaggi contemporanei (es. piegate la testa per comprenderle meglio ~(_8^(|) quello che rappresenta Homer Simpson). E non dimentichiamo che esistono anche emoticon diversi per paese, soprattutto in Asia. Ad esempio in Corea felice si digita così: ^0^ . Ah, uso il maschile solo perché l’Accademia della Crusca ha optato per la declinazione al maschile anche se avverte che in rete è maggiore la declinazione al femminile.
Ma torniamo alla storia dei nostri “simboletti”. Quando debutta il primo Emoji che si differenzia dall'emoticon, formato solo da segni di interpunzione, perché vero e proprio segno "artistico" ?
Il primo Emoji è stato creato tra il 1998 e il 1999 dal grafico giapponese Shigetaka Kurita. Tutto ebbe inizio quando il geniale Kurita si ritrovò a dover trovare una soluzione per il servizio internet mobile di NTT DoCoMo – per cui lavorava – che limitava i messaggi a 250 caratteri, richiedendo una sorta di stenografia.
Uno dei messaggi standard usati per comunicare con la clientela era: Cosa stai facendo adesso? Per non rischiare una comunicazione che risultasse minacciosa o invadente, Kurita decise che l'aggiunta di una faccina sorridente (realizzata con i pixels alla Space invaders, per capirici) avrebbe "ammorbidito" il tono della comunicazione. La validazione di questa soluzione grafica emozionale fece sì che Kurita realizzò il primo set del nuovo alfabeto. Infatti, il grafico del Sol Levante progettò una serie di 176 pittogrammi basandosi su fumetti, segnali stradali e caratteri cinesi.
Un lavoro di rielaborazione che ha creato un’armonia tra valori e visioni della cultura pop, arte moderna e l’essenza primordiale del simbolo, che ancora oggi mi commuove quando vedo l’immagine della tavola riassuntiva di questi geroglifici digitali oggi esposti al Moma di New York.
Pensate che i caratteri giapponesi, o "kanji" , sono in gran parte basati su ideogrammi cinesi, il che significa che il sistema di scrittura della lingua è già altamente pittorico.
Ma Kurita trovò ispirazione per la progettazione di Emoji in ogni sorta di fonti, legate alla pop culture e all'immaginario collettivo del XX secolo. Questi simboli presero il nome di Emoji, che in giapponese significa "icona": precisamente il nome deriva da "e" (immagine), "mo" (scrittura) e "ji" (carattere).
Nel 2010 gli Emoji, come li conosciamo oggi nella nostra tastiera, sono stati incorporati in Unicode, lo standard che regola la codifica software del testo. Quell'anno, 722 Emoji sono stati rilasciati sia su iPhone che su Android. Attualmente è anche un fenomeno culturale: il 17 luglio si celebra l'Emoji Day, gli hanno dedicato film e sono un brand presente ormai su tutto, da capi di abbigliamento a gadget, e ciclicamente vengono integrate con nuove icone, come potete osservare con sorpresa sui vostri cellulari.
Gli emoji, quindi, sono segni simpatici, smart, carichi di emozionalità, semplici da usare e in grado di arricchire la comunicazione scritta di pathos, in quanto funzioni emotive e metalinguistiche.
Per molti il rischio è che il loro abuso possa produrre un'involuzione nella capacità di esposizione scritta, limitando il bagaglio lessicale e sintattico delle nuove generazioni.
Sul dibattito in corso a me viene solo in mente il pensiero di Umberto Eco che nel 1964 diede alle stampe il saggio Apocalittici e integrati diventato un testo cult dell’analisi sociosemiotica.
Questo titolo è nel tempo diventato un’espressione “proverbiale” per indicare due categorie ideologiche di opposti nella lettura degli effetti che il progresso tecnologico opera sulla “qualità della cultura”.
In estrema sintesi: gli Apocalittici sono i fautori della demonizzazione della rivoluzione digitale, intesa come barbara distruzione di un patrimonio culturale costruito nei secoli, gli Integrati, invece, sono i “tecnoentusiasti”, convinti sostenitori delle innovazioni tecnologiche, intese come spinte alla democratizzazione della cultura.
Io personalmente mi sento una "quasi Integrata" consapevole del rischio dell’Apocalisse. Voi?
Valentina Scuccimarra
(Docente di semiotica dei linguaggi digitali)
Emoticon set
Kurita
Moma di New York : emoji
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