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"Le cose più importanti nella vita delle persone sono i loro sogni e le loro speranze, ciò che hanno realizzato e pure quello che hanno perduto"

 

Memorie

L'apostolato civile di Rocco Mazzarone: il ruolo ispiratore nelle azioni del Circolo “La Scaletta” di Matera

 

Quando assicurai a Rocco che tutto era pronto e confermai la data della manifestazione, i suoi occhi si illuminarono e indugiò in una velata soddisfazione, perché la gioia di Rocco veniva espressa con un personale taciturno sorriso.
Avevamo a lungo lavorato per l'organizzazione dell’incontro dibattito tra Manlio Rossi-Doria e Giuseppe Ciarrocca, sostenitori di tesi alternative. Tutto era iniziato per dare al costituito Circolo “La Scaletta” la missione concreta di luogo di lavoro, ove tracciare proposte ed azioni per accelerare la crescita economica e civile delle nostre comunità. Per Rocco il progresso della Regione Basilicata doveva necessariamente legarsi a una rigorosa politica di programmazione. Per questo, dopo un lungo periodo di serali incontri con i soci de La Scaletta, Rocco mi invitò a prendere contatti con Gabriele Gaetani d’Aragona e con Manlio Rossi-Doria per aprire la pubblica discussione sulle proposte del Piano Regionale di Sviluppo della Basilicata.
Gli “incontri di studio” furono organizzati dal Circolo “La Scaletta” di Matera e, come allora scrivemmo, intesero offrire l’occasione per impostare, finalmente, un discorso serio e concreto sulle potenzialità delle risorse lucane e sulle reali prospettive di sviluppo della Regione.
Era tempo che, dalla fase delle enunciazioni improvvisate o settoriali, si passasse ad una fase di presa di coscienza dell’intera complessa situazione lucana e si formulassero con rigore economico le ipotesi di un possibile sviluppo. Coerentemente con tale disegno, al termine delle dodici sessioni di lavoro, potemmo affermare che: «la precarietà socio-economia della regione, denunciata con obiettiva responsabilità dagli esperti del Piano, deve e dovrà servire ad abbandonare i vuoti formalismi di una nostra sentimentale rinascita, per prospettare, di contro, le tappe necessarie da percorrere nel corso di un quindicennio per conferire alla Basilicata migliori condizioni sociali ed economiche».
I risultati degli incontri, grazie alla coraggiosa iniziative de “La Scaletta”, furono diretti a tutte le forze e a tutti gli uomini ancora vitali della Basilicata affinché, nella raggiunta coscienza della effettiva realtà regionale, potessero divenire gli operatori più responsabili del riscatto socio-economico del nostro avvilito territorio.
Si era trattato del primo progetto nazionale di programmazione regionale che aveva visto coinvolte le Regioni Basilicata e Umbria.
Rocco Mazzarone fu l’ispiratore del progetto, assegnato alla responsabilità del prof. Gaetani d’Aragona, con l’obbligato coinvolgimento della Scuola di Specializzazione Agraria di Portici e del suo direttore Manlio Rossi-Doria.
Nella sua valutazione, Rossi Doria aveva registrato la discrasia tra “polpa” e “osso” della Regione lucana. La dimensione maggioritaria dell’ “osso”, di difficile e impossibile soluzione, l’aveva condotto a ipotizzare la costituzione di un vasto demanio silvo-pastorale finalizzato a garantire presidi antropici sulla montagna e una innovata redditività legata alle specifiche risorse territoriali. Contro questa tesi si pose con un polemico scritto il prof. Ciarrocca, il quale era sostenitore di insediamenti rurali isolati e sparsi sull’intero territorio regionale capaci di esprimere uno sviluppo rurale opposto a quello ipotizzato da Manlio Rossi-Doria.
Il confronto scientifico tra le due tesi si stava quindi per tenere nella sede de “La Scaletta”, e questo riempiva di soddisfazione Rocco, tenace assertore della tesi del maestro di Portici.
Il resoconto della pungente manifestazione rientrò in uno dei più noti saggi di Vittore Fiore, altro protagonista della vicenda culturale e politica del nostro Mezzogiorno, purtroppo entrato nel comodo dimenticatoio di una sonnolenta società meridionale.
Vittore Fiore così ha ricordato l’episodio:
«La sera del 31 marzo del 1965 al Circolo de “La Scaletta” a Matera, Rossi-Doria esponeva a grandi linee il suo piano per zone omogenee. Si aprì allora una fase di dibattiti vivacissimi di cui ancora oggi l'eco perdura. Il professore spiegò che la contrapposizione fra le due aree non era che il risultato dell'evoluzione avutasi in passato.
Ricordate la drammatica situazione del '50? In realtà dal '31 al '51 il tradizionale squilibrio fra risorse agricole e forze di lavoro si era aggravato e si abbassò ulteriormente il già misero tenore di vita della popolazione agricola. Seguirono polemiche a non finire. Intanto entravano sulla scena i Comitati regionali per la programmazione e il nuovo organismo, presieduto da Decio Scardaccione, ambiva a rivedere le bucce al discepolo di Fortunato e di Azimonti. Ma quelli non furono che i prodromi di quella che poi sarebbe passata alla storia come “la disfida di Matera”».

«Il prof. Vittorio Ciarrocca pubblicò una durissima critica a Rossi Doria il quale aveva proposto la creazione di un grande demanio silvo-pastorale che includesse quelle terre dell'Appennino di Basilicata che non fossero state abbandonate, visto che il 70 per cento della superficie montana non può avere altra utilizzazione che il pascolo e il bosco, con conseguente potenziamento degli allevamenti. Alla fine della sua inchiesta del 1908 Francesco Saverio Nitti aveva proposto la stessa soluzione per la montagna nell'Italia meridionale. Questa volta, accanto ad obiezioni tecniche, ne affiorarono altre di carattere politico, quasi che Rossi Doria mirasse a creare in montagna un’economia di Stato.
Lo scontro vero e proprio fra i due economisti agrari si svolse in una atmosfera di tensione il 17 giugno del 1967 nella sede dello stesso Circolo, stracarica di gente venuta da tutta la Basilicata e dalla Puglia, che tendeva le orecchie per non perdere nemmeno una battuta. Attaccò per primo Ciarrocca. Nel silenzio generale egli ribadì che sono impossibili soluzioni grandiose e miracolistiche del tipo zootecnico e demaniale e che l'esodo è ineluttabile.
Rossi Doria aveva lo sguardo teso e caricava la pipa. Quando s'alzò a parlare, ogni rumore in sala cessò del tutto. Fece uno sforzo per dominarsi, poi guardò in avanti, fisso, senza volgere mai lo sguardo né a destra né a sinistra, si liberò subito dei ringraziamenti alla Scaletta e cominciò ad infilare una parola dopo l'altra senza fermarsi un solo istante.
Chiarì le opposte posizioni, confutò una per una le tesi più interessanti dell'avversario ed elencò una serie di problemi che secondo lui occorreva affrontare per risolvere la crisi della montagna:”sarà la via della salvezza, la via per creare su queste terre una struttura civile e per assicurare la conservazione del suolo, come deve farla un Paese moderno, con grandezza di concezioni e con visioni di lungo periodo”.
Altre voci si levarono, critiche nei confronti del “profeta dell'irrealtà”, come quella dei due Presidenti delle unioni provinciali degli agricoltori di Matera e di Potenza, l'avvocato Vincenzo Formica e l'avv. Aldo Morlino, o di Decio Scardaccione che sostenne che la costruzione delle fondovalli avrebbe risolto i problemi della montagna e si rifece alla concezione cattolica della piccola proprietà contadina. Carlo Aiello tentò una via di mezzo, più realistica.
Ma il duello era a due. Intanto s’era fatto molto tardi e Raffaello de Ruggieri, emozionatissimo, chiuse la discussione. Rossi-Doria e Ciarrocca si ritirarono in due angoli opposti continuando a discutere coi propri sostenitori»[1].
Con i soci de La Scaletta affidammo i contenuti della “disfida” ad un quaderno, aperto da una lettera di Manlio Rossi-Doria agli amici de “La Scaletta”. Questa particolare affettuosa prefazione così concludeva: «Io sono partito dal riconoscimento che l’unico modo valido di affrontare i gravissimi problemi che lo sviluppo economico ha improvvisamente posto anche per noi all’ordine del giorno sia quello di far tesoro dell’esperienza di chi ci ha preceduto su questa via e della serissima meditazione scientifica che essa ha provocato tra gli economisti e scienziati sociali di tutto il mondo.
In questa nuova e non facile dimensione, nella quale la ragione impone di guardar le cose, mi sono sforzato di guardare anche i problemi della nostra regione, cercando soluzioni adeguate e abbandonando quindi ogni romanticheria e nostalgia di salvare forme di vita che la nuova realtà esplicitamente condanna, anche se poi le lascerà sussistere, qua e là, come inevitabili sacche di miseria in un primo tempo e in dimensioni trascurabili per l'umana società in seguito.

Ora Ciarrocca è appunto questo che non vuole e in quel suo libretto, con violenza simile a quella impiegata nei miei riguardi, nega, quindi, validità alla moderna teoria economica dello sviluppo e ai concetti della competitività e della tendenziale parità dei redditi; si oppone ai riordinamenti fondiari e alla introduzione di ogni moderna nuova forma di organizzazione tra i produttori e più in generale rifiuta ogni credito alla programmazione.
Su questa base di paradossale negazione egli, quindi, romanticamente costruisce un immaginario salvataggio della montagna, lasciando le cose come stanno e riponendo ogni affidamento sugli spontanei aggiustamenti, sull'attaccamento alla terra dei montanari, sul taumaturgico effetto dello sviluppo del turismo e su di una indefinita politica di sussidi dello Stato nel rispetto dell'art. 44 della Costituzione.

A questo punto, traete voi le conclusioni, non senza domandarvi: “Siamo sicuri che queste tesi, evidentemente assurde in questa loro esposizione appassionata e paradossale, non abbiano assai più numerosi sostenitori di quanto - in questi tempi di generale accettazione della programmazione economica e dei criteri di efficienza e competitività - si sarebbe portati a credere?
Per mio conto sono certo del contrario e penso che Ciarrocca, in quel suo modo candido e paradossale, simboleggi il muro di resistenza che ogni sforzo di seria modernizzazione del nostro paese deve superare e che voi giovani lucani in particolare dovrete superare se vorrete dare alla vostra regione un avvenire di civiltà.

Leggevo nei mesi scorsi nel bel libro di Thomas Mann “Dialogo con Goethe”, che Lavinia Massucchetti ha ben tradotto per Mondadori, una frase del grande poeta tedesco nel “Wilhelm Meister” che si adatta al caso nostro e ci deve servir di monito: “La gentaglia umana nulla teme quanto la ragione dovrebbe, invece, aver paura della stoltezza, se capisse quanto essa è tremenda: ma la ragione è incomoda e conviene metterla in disparte, la stoltezza è soltanto rovinosa e si può stare a vedere”.
Rinnovandovi l'augurio di un buon lavoro e le scuse per l'eccessivo ritardo col quale ho mantenuto l'impegno, vi saluto tutti molto amichevolmente»[2].
Ho voluto ricordare questo episodio, perché in una delle ultime visite a Rocco gli lessi questa pagina e lui ne rimase appagato e commosso, e ciò fu sorprendente perché l’appagamento non rientrava nei canoni di vita di Rocco!
Rocco Mazzarone per lunghi anni ha rappresentato l’interlocutore carismatico per quell’esercito di studiosi e di ricercatori che nel dopoguerra hanno voluto rilevare l’autentico dna della Basilicata.
Economisti, sociologi, etnografi, storici, fotografi, geologi, letterati, tutti passavano da Rocco per ottenere le giuste coordinate prima di percorrere l’allora disaggregato territorio lucano e di affrontare
i temi scottanti della Basilicata.
La sede materana del Dispensario antitubercolare di via Laura Battista, di cui Rocco era responsabile, rappresentava l’obbligata “stazione di posta” per gli esploratori del nostro territorio.
Rocco amava profondamente la sua terra, di cui conosceva le potenzialità e i limiti, ma era deluso dall'inadeguatezza dei suoi
conterranei di operare con scienza e conoscenza per il suo progresso. Occorreva, dunque, tentare di evangelizzare le popolazioni al nuovo corso della storia e di ingigantire il difficile lavoro di un proselitismo civile. Di qui il suo apostolato costante e caparbio per diffondere le qualità territoriali, i valori sociali e le risorse economiche ai protagonisti sbadiglianti dello sviluppo locale.
Egli vide nel gruppo dei giovani e dei giovanissimi che nel 1959 avevano fondato l’associazione materana de “La Scaletta” uno di tali referenti, capace di dare gambe e diffusione ai suoi progetti.
E se la programmazione segnava il metodo di lavoro, le particolari vicende territoriali segnavano gli obiettivi del progetto.
Fu Rocco a farci comprendere il valore e la qualità insediativi dei Sassi di Matera, vittime in quel tempo di una ingenerosa maledizione culturale e politica. Di sera a “La Scaletta” egli ci illustrava le conclusioni cui era giunta la speciale commissione insediata per scandagliare la questione degli antichi rioni.
Per noi giovani era una quotidiana lezione di approfondimento delle problematiche territoriali e di educazione al lavoro per la comunità. Questa tensione civile così trasmessa non si è mai spenta e continua ancora oggi ad alimentare il mio impegno.
Come lezioni di apprendistato culturale, morale e politico, Rocco ci parlava: di Adriano Olivetti e della sua relazione a Venezia del 1952, quale presidente dell’INU; dell’utopico progetto di riversare in Basilicata e in Matera la fortunata e rivoluzionaria esperienza del New Deal roosveltiano e l’esplicazioni economiche keynesiane;
della sua indagine igienico-sanitaria sulle condizioni abitative dei rioni Sassi, mai pubblicata per le conclusioni eterodosse (dall’esame di ricerca di Rocco il 65% delle abitazioni dei Sassi poteva ricomporsi in civili unità abitative); dei condizionamenti politici nella stesura e nella approvazione della prima legge speciale per i Sassi (legge n. 519/1952); della sua ostinata e pervicace convinzione di realizzare nei Sassi, area del Casalnuovo, un inedito e straordinario museo etnografico e etnologico della cultura contadina.
Rocco viveva momenti di commozione nel raccontare le esaltanti vicende culturali e politiche dell’amico Rocco Scotellaro, arricchiti dalla contestualità dei ricordi e delle riflessioni di mio padre, difensore di fiducia nella triste esperienza giudiziaria del sindaco poeta.
Rocco aveva sempre pronta una pedagogia stimolante per tutti, anche per quelli poco interessati alle sue passioni e alle sue questioni indulgeva nel sistema della problematicità formulando quesiti e chiedendo risposte, che non sempre giungevano corrette, il che autorizzava Rocco a riaprire i termini del colloquio, obbligando psicologicamente anche i più refrattari a entrare nel merito delle questioni.
Egli, per altro, fu sorpreso di come avevamo organizzato in modo sistemico lo studio e la ricerca sulle chiese rupestri di Matera. Quando gli consegnai in lettura per un suo giudizio il testo introduttivo a commento della pubblicazione, la cara Tina mi riferì che iniziata la lettura dopo cena, lesse il saggio di un fiato finendo a tarda notte.
Quando ci incontrammo il suo atteggiamento era radioso, dicendomi che era soddisfatto del lavoro, che lo aveva sorpreso per la sistematicità e per la scientificità dei contenuti.
Come ho avuto modo di segnalare ai partecipanti del convegno su Mazzarone, Rocco è stato per me l’amico educatore. Negli anni Sessanta, a noi giovani de “La Scaletta” egli ha spalancato i confini della Basilicata per  meglio conoscerla, amarla, difenderla.
In quel tempo non v’era ricercatore che volesse esplorare la realtà fisica, sociale, economica e culturale della Basilicata, che non avesse in Rocco Mazzarone l’iniziale e essenziale interlocutore.
In quel tempo non si entrava nel nostro territorio senza pagare il dazio della sua conoscenza e della sua testimonianza critica.
Dell’agire di Rocco voglio ricordare l’assoluto disinteresse, l’assenza genetica di ogni personale tornaconto, il suo era un vissuto apostolato lucano, la sua una onestà trasparente e disarmante.
Così voglio ricordare un amico che ha stimolato le mie tensioni civili e orientato il percorso vitale di molti lucani.

 

Raffaello De Ruggieri
(Presidente Fondazione Zetema, Matera)

 

[1] V. Fiore, Basilicata storico sottosviluppo in “Italia Regioni”, Edizioni AEDA, Torino 1971, pgg. 40/41.

[2] M. Rossi Doria, Prospettive di sviluppo dell’agricoltura lucana, Edizioni La Scaletta, Matera 1966, pgg. 10/12.

 

 

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