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Recondita Armonia? La Civita del Seicento, la Città del Terzo Millennio

 

Recondita Armonia? La Civita del Seicento, la Città del Terzo Millennio 
Due immagini. Da un lato, una Civita del Sedicesimo Secolo. Dall’altro, una Città del Terzo Millennio.
Esiste una Recondita Armonia[1], un filo rosso che le lega?
Un recente filone di ricerca della scienza economica ci dice che è possibile.
Come nell’opera pucciniana, abbiamo due diverse bellezze.
Sono due distinti ritratti di Matera. La prima immagine  risale alla fine del Quattrocento: l’economia cresceva, grazie al suo status di Città del Re, non feudale. Poi viene di nuovo infeudata, ed il Conte Giancarlo Tramontano la affossa. Il 29 dicembre 1514 la popolazione si ribella, uccide il feudatario, e, riscattandosi, ritorna nel Demanio Regio. 
La seconda immagine è quella della Matera di oggi: Capitale Europea della Cultura nel 2019, livelli di reddito e di qualità della vita di gran lunga maggiori della media delle città del Mezzogiorno. Due dipinti assai diversi, come diverse erano la cantante Flora Tosca e la marchesa Giulia Attavanti.
Ma Mario Cavaradossi individua una recondita armonia tra le due, e le confonde. C’è una recondita armonia anche tra la Civita del Seicento e la Città del Terzo Millennio?
Un recente filone di ricerca della scienza economica indica quale può essere il filo rosso: un certo assetto del governo della città, verificatosi nel Seicento, può aver inoculato enzimi positivi in quella comunità, i cui effetti, come un fiume carsico, emergono  secoli dopo, in termini di crescita economica e civile.
L’approccio di ricerca, che applica gli strumenti teorici ed empirici dell’economia all’analisi della storia, prende il nome di “persistenza”.
L’idea su cui tale approccio si basa è tutto sommato semplice:le differenze economiche e sociali tra paesi, regioni e città possono trovare origini in “shock istituzionali” avvenuti tempo prima, anche molto tempo prima, cioè secoli.
L’esempio più noto è quello degli effetti del passato coloniale che contraddistingue la storia della gran parte dei Paesi emergenti ed in sviluppo. È una evidenza empirica  portata alla luce dai lavori pioneristici dell’economista turco Daron Acemoglu, un nome che negli ultimi anni è sistematicamente inserito nelle previsioni sui futuri premi Nobel. L’ipotesi che viene testata empiricamente è la seguente: l’atteggiamento dei colonizzatori, tutti provenienti dai Paesi del Vecchio continente, nei confronti delle colonie conquistate non era affatto omogeneo, riguardo a quali tipo di istituzioni, leggi e regole impiantare nei territori conquistati.
La differenza fondamentale era nell’atteggiamento dei colonizzatori: il loro obiettivo era semplicemente razziare e depredare i nuovi territori, oppure insediarsi in modo più stabile, ma soprattutto portando regole e costumi che davano la possibilità a coloni ed indigeni – magari gradatamente, o solo parzialmente, o solo formalmente – di partecipare al governo degli insediamenti?
Detto in termini più tecnici, la differenza fondamentale è quella che distingue il tipo di politiche: il colonizzatore poteva mettere in atto politiche esclusive, ovvero inclusive. La politica esclusiva è appunto caratterizzata dalla caratteristica di creare, proteggere e perpetuare  delle rendite di posizione a vantaggio di individui, classi e categorie ben precise, quindi escludendo tutti coloro che non appartengono al perimetro dei privilegiati così individuato.
La politica inclusiva, al contrario, promuove le pari opportunità, in tal modo incentivando i comportamenti che migliorano gli individui da due punti di vista: diventano più efficienti, quindi promuovono meglio la crescita del loro reddito e della loro ricchezza; diventano più efficaci nel produrre servizi collettivi, migliorando il governo dei beni pubblici. È un gioco a somma positiva: nei territori governati con regole inclusive, aumenta il capitale economico, ma aumenta anche il cosiddetto capitale civile.
L’aumento ha caratteristiche strutturali, e cioè persistente: anche a distanza di secoli le istituzioni inclusive (governance inclusiva)  possono mostrare i suoi effetti positivi; il contrario vale per le istituzioni  esclusive.
Nella letteratura sulla persistenza un esempio italiano spesso citato di politica delle regole esclusive riguarda la storia della Repubblica Serenissima di Venezia.
Il 28 febbraio 1297 il massimo organo legislativo dell’epoca – il Maggior Consiglio – rese ereditarie le cariche dei suoi membri.
Tale riforma della governance è stata considerata un blocco di quell’ascensore sociale che invece aveva caratterizzato fino a quel momento la vita civile della Repubblica, con effetti negativi sia economici che sociali. Dunque, la sfida in questo filone di ricerca è dimostrare l’effetto causale tra lo shock storico e le condizioni economiche e sociali attuali. Oltre alle difficoltà legate alla misurazione di fenomeni appartenenti al passato, è necessario identificare correttamente l’evento storico che ha innescato un cambiamento potenzialmente duraturo, distinguendo i suoi effetti da altri fattori, come per esempio considerazioni geografiche o altri eventi storici.
Si comprende dunque come sia necessario un approccio multidisciplinare, combinando da un lato tecniche econometriche più raffinate con competenze storiche, sociali ed economiche.
Un altro aspetto determinante è poi identificare il meccanismo tramite il quale uno shock istituzionale si riverbera nel tempo mostrando effetti persistenti, talvolta anche dopo che l’assetto istituzionale cui ci riferisce si è nel tempo modificato.
È qui emerge l’assunzione fondamentale che caratterizza la ricerca sulla persistenza, applicata al caso specifico della governance urbana: uno shock istituzionale ha effetti che, come un fiume carsico, possono permanere, riemergere, o sparire, anche dopo un lungo periodo temporale. Perchè?
L’ipotesi è che lo shock istituzionale metta in moto dei meccanismi inter-personali prima, ed inter-generazionali poi, che incidono sulle capacità individuali da un fondamentale punto di vista: si impara ad essere più efficienti, anche attraverso azioni collettive.
L’azione collettiva diventa uno strumento che produce appunto un gioco a somma positiva: ne beneficiano singoli individui, ma anche la collettività nel suo complesso. Ma come si trasmette l’effetto di persistenza? Qui entrano in gioco in generale due meccanismi: la dinamica delle istituzioni si intreccia con quella della cultura.
La cultura diventa il veicolo della recondita armonia: la capacità di essere efficienti ed efficaci può essere accelerata, o al contrario rallentata, da sistemi valoriali che promuovano, o meno, le istituzioni inclusive. 
Qui l’esempio classico è il ruolo frenante che, nel passaggio dal Medio Evo all’Evo Moderno, ha avuto la cultura nobiliare, che disprezzava il lavoro.
Riguardo al caso che qui ci interessa - la governance urbana -  l’esempio più citato è quello della esperienza dei Comuni italiani.
Lo shock istituzionale è quello che colpisce il Nord e Centro Italia nel Medio Evo: centri urbani diventano città libere,  si guadagnano l’autonomia, il germe positivo dell’azione collettiva viene inoculato, gli effetti sulla crescita economica e del capitale civile si ritrovano a secoli di distanza. Anche qui l’intuizione fondamentale è semplice: mentre nel feudo i cittadini non “contavano” nulla, nei liberi comuni i cittadini  dovevano produrre in autonomia i cosiddetti beni pubblici: la moneta, la difesa, la giustizia, le infrastrutture che tutti utilizzano, con la conseguente necessità della tassazione.
L’attività di produzione di beni pubblici fa sviluppare doti individuali che hanno immediati effetti positivi sulla collettività, ma che, attraverso relazioni parentali ed effetti culturali, possono anche trasmettersi nel tempo, quindi persistere. 
Il fenomeno delle città libere è stato poi studiato nel caso del Regno Unito, della Germania, della Svizzera.
Ed il Sud Italia? Finora l’alternativa era tra città libera e città feudale, e nel Sud Italia non vi erano città libere. Ma, a ben guardare, il Sud Italia, soprattutto durante la dominazione spagnola, è stato caratterizzato dalle città demaniali.
Le città demaniali avevano forme di governance urbana, che, libere dal giogo feudale, rispondevano direttamente al sovrano, anche attraverso forme di negoziazione dei propri diritti e privilegi.
Chi si attivava per guadagnare lo status di città demaniale, o per rinegoziare i diritti? Erano le classi urbane locali, di città come Bari,  Trani, ma anche Isernia, Campobasso e l’Aquila,  tra le altre.
Ed appunto: Matera. Le prime analisi empiriche sono incoraggianti: le città demaniali del Sud mostrano, a distanza di secoli, migliori performance economiche e sociali, rispetto a quelle che non lo erano. Sarebbe una ulteriore prova che governance urbana, crescita economica e capitale civile vanno mano nella mano. Anche nel Sud Italia.
Quali sono dunque le implicazioni? Certo, la persistenza di eventi storici non deve essere interpretata come un destino già scritto nei secoli passati. Non è la potenza del fato, per continuare con una metafora operistica, stavolta verdiana.
Al contrario, i risultati di questo filone di ricerca scientifica evidenziano come le conseguenze delle scelte relative alla governance urbana non sono solo di breve periodo, ma possono avere implicazioni per la futura crescita economica e civile. 
Le recondite armonie vanno dunque ricercate. Non solo: vanno anche messe in luce e discusse. La ragione? Il ruolo della cultura. La buona governance si diffonde parlandone. Un buon passato va valorizzato, a beneficio di chi c’è oggi. Soprattutto se è giovane.
Si sente più ricco. Proprio come quando scopre la bellezza e la profondità dell’ opera pucciniana, da cui siamo partiti.

 

Donato Masciandaro
(
Prof.re Ordinario di Economia Politica,
Università Bocconi-Milano)

 

Per saperne di più:

Acemoglu D., Johnson S., Robinson J.A., 2001, The Colonial Origin of Comparative Development: An Empirical Investigation, American Economic Review, 91(4), 1369-1401.

Borghi E., Gatti F. and Masciandaro D., 2022, Neither Communes nor Fiefs: King Owned Towns, Right Negotiations and Long Run Persistence. The Case of South Italy. Bocconi Baffi Carefin Working Paper Series, July, n. 182.

Bisin A. and Verdier T., 2017, On the Joint Evolution of Culture and Institutions, NBER Working Paper Series, n. 23375.

De Ruggiero M.G., Foschino F., 2002, Anno 1463. I Privilegi, lo Statuto e la Riconquista della Demanialità, in “Mathera”, n.21, 122-141.

Guiso L., Sapienza P. and Zingales L., 2016, Long Term Persistence, Journal of the European Economic Association, 14(6), 1401-1436.

Tabellini G., 2008, The Scope of Cooperation: Norms and Incentives, Quarterly Journal of Economics, 123(3), 905-950.

 

[1] Si ringrazia di cuore Angela Montemurro, che prima ha suggerito la metafora pucciniana, poi ne ha commentato l’uso. Al solito, l’autore rimane il solo responsabile di quanto scritto.

 

  

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