"La verità è spesso più vicina al silenzio che al rumore"
Le stanze dell'anima
I luoghi dell’umanesimo tecnico di Sinisgalli[1]
(seconda parte)
Roma, la formazione scientifica e l’incontro con la poesia e l’arte
Il 29 ottobre del 1925, Sinisgalli si iscrive al primo anno del corso di “Matematica e Fisica” della Regia Università di Roma.
Dopo le mura collegiali di Caserta e Benevento, scandite dal rigore dei convittori, dalla monotona ritualità delle regole, dall’isolamento dei compagni, il giovane Leonardo si ritrova di nuovo solo, ma in una città senza mura. Vive la solitudine delle pensioni romane (via Cola di Rienzo, via degli Zingari, via delle Frasche, via Baccina, via dei Serpenti, via Milano), ma frequenta con entusiasmo i corsi di eccellenti maestri come Guido Castelnuovo, Tullio Levi Civita, Nicola Parravano, Francesco Severi.
Un’applicazione del teorema di Gaudino lo esalta molto più di un sonetto o un epitaffio.
«[…]. Il matematico superava il poeta di una buona lunghezza.
Le formulette sul moto dei corpi, e le linee che ne discendevano, rette e parabole, mi esaltavano più dei bisticci di rime e assonanze che fin da allora furono la mia ossessione […][2]
[…]. Per lunghi mesi, sulle grandi lavagne che occupavano quasi tutta la parete dietro le cattedre, nelle Aule del Seminario di Matematica in via delle Sette Sale […] il professore apriva il suo rito, proprio come un sacerdote apre la messa; con un segno di croce.
Che non era tracciato dalla mano nell’aria e non invocava nessuna presenza divina: erano due solchi di polvere bianca sul buio schermo di ardesia, due assi ortogonali, l’asse delle ascisse e l’asse delle ordinate, che fermavano lo spazio intorno a quella O maiuscola, quella O che nei nostri fogli di esercitazione non restava mai un punto d’incrocio immateriale, senza dimensioni, come Euclide e Cartesio e Castelnuovo avrebbero voluto, ma diventava per la nostra inesperienza di disegnatori, oltre che di geometri, una specie di fossa, un buco, una bruttura sulle candide tese di carta Fabriano, dove imparammo a costruire la spirale, la catenaria, la cissoide, e molti altri ghirigori dalle virtù pressoché sublimi. […]. I paradisi che essa ci prometteva ci parvero più immediati, e i sentieri della verità furono per noi, lungamente, labili curve disegnate a lapis, intorno ai due assi e a quella tonda lettera astrusa […][3] ».
È uno studente straordinariamente brillante tanto da essere chiamato da Enrico Fermi ad entrare nel gruppo degli enfans terribles di via Panisperna, ma in seguito ad una crisi descritta nel Furor mathematicus, Sinisgalli preferisce seguire poeti e pittori[4]. Tuttavia non rinnegherà mai l’amore per la scienza[5], per la tecnica, per le macchine.
«La scelta non l’ho fatta io, ma il caso. Avevo passione per i calcoli. Ecco tutto. Dovevo fare il matematico. Stavo per entrare nel gruppo degli allievi e dei compagni di Fermi (“i ragazzi di Via Panisperna”) quando incontrai i primi poeti-studenti, e i pittori[6]».
Roma diventa sinonimo di libertà. L’esaltazione dei sensi fino ad allora ignorati e repressi, irrompe come fiume che esonda.
E Sinisgalli scopre, con la crisi del biennio e il passaggio nel 1927 dal Seminario delle Sette Sale alla Scuola di Applicazione degli Ingegneri di San Pietro in Vincoli[7], di non essere più l’eletto[8].
Di certo la sua condizione di “sradicato” a Roma, in perenne pellegrinaggio tra una pensione e l’altra, in un continuo tourbillon di amicizie legate ad occasioni e luoghi cittadini, lo avvicina più alla dimensione estrosa e sregolata degli artisti e dei poeti che non ai circuiti, spesso chiusi, che la maggior parte degli studenti romani di via Panisperna, figli di una borghesia altolocata, frequenta.
I due amici fraterni di quegli anni sono due poeti, Arnaldo Beccaria e Libero de Libero.
Nonostante gli studi, la frequentazione è quotidiana. Ad Arnaldo lo unisce, oltre alla passione poetica, l’amore per la matematica e la scienza.
I vagabondaggi in via Cavour, sede in seguito della Scuola romana di Mario Mafai[9], alimentano un profondo amore per l’arte, la pittura e il disegno che lo accompagnerà per tutta la vita.
Protagonisti carismatici sono Ungaretti, Cecchi e Barilli, ma anche Scipione[10] che spesso disegna seduto su uno di quei divani.
È in questo clima, denso e intenso, di una Roma vissuta con empatia e sintonia che Sinisgalli si muove, ebbro di vita, in un periodo in cui le parole gli piacciono “più dei numeri e le figure più degli ordini”[11].
Milano, la fama poetica e il matrimonio con la tecnica e la pubblicità
Dopo la laurea, conseguita nel 1931, Sinisgalli passa alla “conquista di Milano”. La sua intelligenza, imprevedibile ed inquieta, esaltata da una rigorosa formazione universitaria, così come l’insaziabile curiosità proteiforme per la complessità del mondo e del sapere, trovano un terreno fertilissimo di amicizie e di stimoli in una città[12] che raccoglieva come in una immensa culla culturale il meglio della letteratura, dell’arte, dell’architettura, della tecnica, dell’industria e dell’editoria del tempo.
Fondamentale sarà per il giovane ingegnere, la ricca trama di relazioni e amicizie che intesserà in questo primo periodo milanese con architetti, artisti, capitani d’industria, editori e giornalisti.
Cantatore, Gatto, Quasimodo, Zavattini, Fontana, Sereni, Solmi sono solo alcuni dei sodali che incontra nelle redazioni e nelle trattorie dei Navigli.
Frequenta lo studio Boggeri e la Galleria “Il Milione”, diventa amico di Persico, di Pagano, di Terragni, di Lucini, di Nizzoli, di Munari, di Veronesi e di Giò Ponti, il grande architetto, con cui pubblica Ritratti di macchine[13], prima riflessione sull’amore per i congegni, e Italiani[14].
Con il Quaderno di geometria[15] del 1935, un omaggio ai fari della sua formazione scientifica e filosofica (Platone, Archimede, Leonardo, Leibniz e Pascal) e molte delle 18 poesie[16] che pubblicherà l’anno successivo, inizia per lui una stagione particolarmente fortunata. Le sue poesie inaugurano la prestigiosa collana “All’insegna del pesce d’oro”, di Giovanni Scheiwiller.
All’inizio del ’37 è assunto dalla Società del Linoleum, del gruppo Pirelli, per organizzare convegni e collaborare alla redazione di “Edilizia Moderna”, un periodico trimestrale. Nasce così il lungo sodalizio che legherà Leonardo Sinisgalli al mondo della grande industria fino alla fine degli anni Settanta.
L’anno successivo, l’illuminato Adriano Olivetti, grande industriale e raffinato intellettuale, affascinato dalla lettura del Quaderno di geometria lo chiama a sé alla Olivetti, con il prestigioso incarico – di cui andrà sempre particolarmente fiero – di Responsabile dell’Ufficio Tecnico di Pubblicità.
I due anni passati alla Olivetti, in via Clerici sono segnati da una straordinaria fertilità creativa, l’umore di Sinisgalli è alle stelle. Arte, letteratura e tecnica si fondono con grande armonia in una concezione della pubblicità innovativa e intellettualistica, nutrita di simboli e allusioni culturali.
«[…] perché il mio periodo d’oro è stato dal 1933 al 1940. Io ero allora all’Olivetti e vivevo in una specola, dirò così, dalla quale potevo vedere il meglio del mondo[17]».
In conclusione
Leonardo Sinisgalli è vitruvianamente inscritto nel quadrilatero “Montemurro, Caserta-Benevento, Roma e Milano”.
Tutto ciò che avverrà e realizzerà nella piena maturità, a partire dal dopoguerra, trova le sue radici profondissime in questi luoghi e in quegli anni. Con quella diacronica e perfetta accidentalità che lo guiderà nel tempo giusto nel luogo giusto con le persone giuste.
Esattamente, come un congegno preciso al millesimo di millimetro. Un fatale ingranaggio.
Montemurro degli affetti e delle forge, delle scorribande e dei giochi selvaggi. Caserta e Benevento, solitudine e competizione, la scienza bambina nei laboratori scolastici. Roma, la città della crisi e della scelta, dalla matematica alla poesia e all’arte. Milano, il tourbillon di esperienze umane e professionali, poetiche e tecniche.
Nella diversità geografica dei luoghi, nella molteplicità delle esperienze e delle relazioni, nell’ansia di capire e imparare, che lo spingerà come un Tantalo senza sosta a misurarsi con frontiere sempre nuove, da superare, da frantumare, anche da ricomporre e fondere, l’ingranaggio Sinisgalli porterà sempre con sé il fagotto dell’insoddisfazione e della curiosità.
Come confesserà lui stesso a in un’intervista a Claudio Marabini: «Forse fu una compensazione. Forse fu la rivolta del ragazzo di race inférieure[18]».
Forse.
Biagio Russo
(Membro del Cts della Fondazione Leonardo Sinisgalli)
NOTA PER IL LETTORE: la prima parte dell’articolo è stata pubblicata nel precedente numero dei Quaderni.
[1] Il saggio è un estratto di Lo spirito di via Panisperna in Civiltà delle macchine, in D. Cocolicchio e B. Russo (a cura di), “Fisica moderna” in Civiltà delle macchine di Leonardo Sinisgalli, Osanna Edizioni-Fondazione Leonardo Sinisgalli, Venosa-Montemurro 2017, pp. 23-35.
[2] L. Sinisgalli, “Le ossa di Sergio Corazzini”, in Id., Un disegno di Scipione e altri racconti, pp. 27-33.
[3] L. Sinisgalli, “Assi cartesiani”, in Id., Horror Vacui, O.E.T, Roma, 1945, pp. 11-12.
[4] In Ritratti su misura di scrittori italiani (a cura di E. F. Accrocca, Sodalizio del libro, Venezia, 1960), lo stesso Sinisgalli dice: «Potevo trovarmi nel gruppo dei ragazzi che hanno aperto l’era atomica, preferii seguire pittori e artisti e rinunciare allo studio dei neutroni lenti e della radioattività artificiale».
[5] «Ho letto le opere di Archimede, di Erone alessandrino, di Leonardo da Vinci, di Galilei, di Torricelli, di Reuleaux, di Cremona, di Wiener». Questa rapida e biografica carta di identità nasce da uno sfogo pubblicato il 28 agosto 1976 su «Il Mattino» intitolato Macchine celibi, a commento di un catalogo su una mostra di macchine inaugurata a Venezia. Cfr. L. Sinisgalli, Civiltà della cronaca. Il Mattino (1976-1979). Antologia degli articoli, a cura di F. D’Episcopo, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2005, p. 55.
[6] C. Marabini, Le città dei poeti, Sei, Torino, 1976, p. 152.
[7] L. Sinisgalli, “Laforguiana”, in Id., Civiltà della cronaca… cit., p. 35.
[8] L. Sinisgalli, Furor mathematicus, Mondadori, Milano, 1944, p. 67.
[9] L. Sinisgalli, “Studenti poeti”, in Id., Un ritratto di Scipione… cit., pp. 37-44.
[10] Pseudonimo di Gino Bonichi.
[11] Si veda la nota n.9.
[12] Esaustivo a tal proposito il volume curato da G. Lupo: AA.VV., Sinisgalli a Milano, Interlinea, Novara 2002.
[13] L. Sinisgalli, Ritratti di macchine, Edizioni di via Letizia, Roma, 1937.
[14] L. Sinisgalli, G. Ponti (a cura di), Italiani, Edizioni Domus, Milano, 1937.
[15] L. Sinisgalli, Quaderno di geometria, tavole di Luigi Veronesi (Estratto dalla rivista Campo Grafico, Numeri 9-10-11-12), Grafa, Milano, 1936.
[16] L. Sinisgalli, 18 poesie, All’insegna del pesce d’oro, Milano, 1936.
[17] AA.VV., Conversazioni sinisgalliane. Interviste, dialoghi e testimonianze, in “Quaderni” n. 02, Fondazione Leonardo Sinisgalli, 2016, p. 57.
[18] AA.VV., Conversazioni sinisgalliane cit., p. 60.
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