freccia arancio

 

"Come la luce con il vetro, lo spazio sfuma l’orlo delle forme

 

Architetture fantastiche

Umanesimo relativo
La bellezza sta negli occhi di chi vuole guardare

 

Stavo osservando il Mar Baltico e ho notato di essere stata catturata dalla sua  sfumatura dell’acqua.
Ero a Jurmala, poco lontano da Riga. È stata immediata,  l’emozione intendo. Si è fatta sentire forte. Mi sono lasciata attraversare. Non avevo  mai visto un Mare di quel colore e mai mi sarei aspettata di potermi commuovere  così tanto alla vista di un paesaggio così familiare, in un certo senso. Il mare.
Il mare esiste per conto suo, non ha bisogno di essere osservato, per essere. Sta. Non  credo abbia neanche il vezzo di voler apparire o di voler diffondere un qualche  messaggio di protesta, sensibilizzazione, riflessione. Bisognerebbe chiederglielo.«Senti, Mare, ma tu chi sei, cosa fai quando le persone ti osservano. Le fai  innamorare sbattendo sugli scogli? Cambi colore fondendoti con l’anima di chi ti  guarda?».
Così facendo sarebbe tutto riconducibile ad un copione, in cui due attori  sullo stesso palco si interfacciano per mettere in scena l’Opera e con ciò anticipano  mentalmente la battuta dell’altro, così più o meno all’infinito. Ammessa invece  l’ipotesi per cui possa cambiare di continuo il punto di vista sul protagonista, il  percepibile diventa Arte e chi la osserva indossa un filtro.
Si decide quindi più o  meno consapevolmente di regalarsi un tempo definito di vulnerabilità. Non è forse stupendo? Lo spettro del possibile diventa infinito. Come in ogni vicissitudine della  vita, quando la sensibilità al mondo diventa più profonda, diventa ugualmente forte  anche la sensazione opposta.
Si tratta però di conviverci, se, per necessità innata, alla soddisfazione del quieto vivere si sceglie la fame irrequieta di ciò che dovrebbe  esistere e ancora non c’è. Ma di questo,  ne parleremo forse in un altro momento. 

Ciò a cui voglio arrivare è che l’Arte esiste nel momento in cui l’osservatore decide  di percepirla come tale. È lui il vero mezzo di diffusione della stessa. Si può dire  dunque, come già dimostrato dalla meccanica quantistica, che la realtà oggettiva  non esiste a livello microscopico.
Due diversi osservatori determinano due differenti  fatti.
Ciò che accade alle particelle che non vengono osservate è un fenomeno  chiamato “sovrapposizione’’, ovvero l’essere presenti in differenti luoghi e stati  contemporaneamente. L’osservatore ne determina la sorte. È il fisico Eugene  Wigner a proporre, nel 1961, un esperimento mentale sul monitorare un/a  osservatore/osservatrice che manipola una moneta quantistica. Il primo lo chiameremo Periferico e il secondo Fulcro. Quest’ultimo lancia la moneta nella sua dimensione di sovrapposizione e ne determina l’essenza:pari o dispari. Periferico,  che in quel momento è fuori dalla stanza e tutto ciò che può fare è misurare la  sovrapposizione dell’intero sistema Fulcro-moneta.Tuttavia, dopo che il confronto tra i due è avvenuto, Fulcro si rende conto che Periferico non ha misurato con esattezza l’esito di ogni lancio di moneta, perché intrecciato indissolubilmente al suo osservatore principale, Fulcro stesso. Questo  porta ad una consapevolezza forte: la realtà in laboratorio, quindi dove  l’esperimento è avvenuto, non può essere rimandata fedelmente alla realtà esterna. 
È dunque vero che la realtà non è mai oggettiva e che a livello microscopico tutto  cambia al cambiare dell’osservatore.
È anche vero che quello che sto per dire e  l’immagine iniziale del mare sono fenomeni cosiddetti “macroscopici” e quindi  sempre misurabili con ottima approssimazione, ma io nel viaggio di questo scritto vorrei esprimere un mio semplice punto di vista sulla vita. 

Noi esseri umani, rispetto all’universo, al pianeta Terra e a molte delle città in cui  viviamo, siamo del tutto microscopici. Possiamo dunque confermare quanto detto in precedenza. L’osservatore odierno è l’uomo Vitruviano del ‘400. È colui a cui più  o meno tutte le arti si rivolgono. L’ Umanesimo moderno, che chiameremo Superumanesimo, definisce sì delle regole, ma lo fa in modo tale che non siano più  collegate alle rigide dottrine matematiche e di proporzione. Lo scopo non è più  quello di raggiungere sempre, o nel limite del possibile, la razionale logica terrena.
Il Superumanesimo prende come assioma la soggettività, l’imperfezione. L’uomo  diventa la scala di misura regolare di ciò che è, e non è, allo stesso tempo. Molte  delle discipline moderne necessitano di questa asimmetria per avere senso, se non  tutte. Sicuramente per alcune è essenziale.
Pensate all’Architettura senza il suo  aspetto sociale. Per esempio, immaginate un mondo senza i cinque sensi. Successivamente immaginate la città in cui gli esseri umani di questo esperimento mentale vivono. Una distesa cittadina, accuratamente progettata da una probabile  società aliena per esaudire ogni necessità terrestre. Ammesso che tenere in vita  una società del genere abbia del plausibile, quanto senso avrebbe realizzarla in modo tale da stupire, accogliere, rilassare, far emozionare o divertire?
Non avrebbe alcun senso.
L’Architettura sarebbe formata solo da scatole fredde le  cui funzioni si limiterebbero all’unica biologicamente predominante: sopravvivere. Dato che la maggior parte delle persone sono dotate di almeno qualcuno dei  cinque sensi, sarebbe un’ efferatissima tortura quella di vivere in un mondo in cui  non poter gioire del profumo di un gelsomino durante una passeggiata in  primavera, non poter godere della coccola cerebrale alla vista e udito dello  scorrere della pioggia sul vetro quando si è al sicuro a casa. Varrebbe lo stesso  anche quando la composizione architettonica di uno spazio fa venire le farfalle  nello stomaco e suggerisce un: Wow!. 
Parlo di Architettura per interesse personale ma non si tratta ovviamente solo di  essa. Quanto detto è applicabile in ogni ambito, basta sentirne la necessità. Basta  volerlo notare.
Nel mio percorso universitario ho molto riflettuto sul perché io  stessi facendo Architettura, sul perché io volessi farla. Uno dei primi quesiti che mi  sono posta per arrivare alla risposta effettivamente è stato «Per chi?». 
«Per chi la vivrà, o per qualsiasi essere vivente terrestre o extraterrestre che abbia  come fine la soluzione ad un suo problema tramite la mia progettazione»
.  È così che inizia un processo creativo e progettuale: risolvendo enigmi nuovi,  necessità e richieste sconosciute che fino a poco prima non esistevano. Questo flusso di coscienza mi fa pensare che l’Umanesimo sia stato una gran bella  trovata, finalmente ci si è staccati dal concetto del «Perché è così» e ci si è avvicinati  al  «Perché è così?». La fortuna dei giorni nostri è che questo passaggio da divino a terreno è già stato fatto. Alla luce della rinnovata consapevolezza, abbiamo il lusso di poter scegliere  quale via intraprendere. Una delle possibili risposte infatti potrebbe essere «Perché  no?» ma tale espressione nascerebbe dal metabolizzato e consapevole processo  creativo che ha portato alla scelta dell’inusuale.

La mia Arte ha intrinsecamente un po’ entrambi i concetti. L’ambito è quello della  rappresentazione architettonica 3D. La mia matrice, il mio schema è formato da  due fattori: il vincolo del punto di vista, che è quello assonometrico e la forma finita  del soggetto, che è sempre il cubo. Così come ipotizzato da Wigner: mettendo a sistema due fattori fondamentali  dovrei sempre riuscire a definire un numero finito di possibilità, sempre misurabili. Proprio come aveva constatato lui però, ciò non avviene mai.
Si muta al mutare del  tempo e dello spazio e si riesce sempre a trovare una soluzione mai data prima. Il processo infatti, per ora, pare poter essere infinito. Le Architetture che progetto sono più o meno utopistiche e nascono dalla necessità di scardinarsi dallo spettro  dei punti di vista canonici.
Non negano tuttavia la relazione con colui/colei che  immola da osservatore/osservatrice (per ora del tutto non reali). Sono Architetture popolate, principalmente di funzione pubblica e sempre accessibili da tutti in qualsiasi momento della giornata. Esiste un flusso interno ed  esterno, ed esiste una temporalità degli eventi che coinvolgono l’oggetto costruito.
Mi piace pensare però che il come possa essere sempre diverso e innovativo. L’osservatore ha il diritto di poter provare esperienze nuove, ha tutte le ragioni di  voler desiderare uno spazio che possa soddisfare ogni suo desiderio più o meno  razionale. Si tratta di umanesimo, ma relativo. Relativo alla propria esistenza, indole  ed esperienza. Tutto è misurabile ma non in modo assoluto. Il beneficio del dubbio  della soggettività lascia aperte molteplici possibilità, speranze, ambizioni.

 

Chiara Amato
(
Architetta e Artista)

 

Loopcube 59 Crystal Pavilions ott

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