freccia arancio

 

"Ogni cosa porta per sempre in sé l’impronta di ciò che è stato prima"

 

La città futura

UTOPIA

L’attività didattica svolta intorno a questo tema ha interessato diverse discipline che sono oggetto di insegnamento del Liceo Artistico di Matera: Discipline Pittoriche (prof.ssa Paola Siani), Lingua e letteratura italiana (prof.ssa Antonia Demma) e Filosofia (prof. Saverio Ciccimarra). Gli studenti hanno approfondito il tema avvicinandosi ad autori come Tommaso Moro,Tommaso Campanella[1] e Francesco Bacone[2]. La lettura de “Le città invisibili” di Italo Calvino ha dato loro gli strumenti per osservare il presente ed individuare i significati nascosti che si celano nella realtà che li circonda. Successivamente hanno interpretato attraverso una serie di immagini le loro emozioni e riflessioni riguardo al tema.
Di seguito vengono riportati 3 testi, scelti fra le loro produzioni, abbinati ad altrettante opere grafiche. Ad esse si aggiungono altre opere che sviluppano lo stesso tema.

Il luogo che non esiste si staglia nel nostro futuro. Esso ancora non esiste, ma affonda già le sue radici nel presente, nella natura stessa del genere umano. Nella nostra natura risiedono la nostra speranza e la nostra condanna, in una condizione concreta di paradosso apparente.

Il luogo che non esiste è visibile in ciò che ci riserva il presente. Le nostre percezioni sensoriali non producono una visione oggettiva della realtà. Condividiamo lo stesso spazio ma in esso ciascuno di noi ha creato la propria casa.

Il luogo che non esiste si sviluppa e si ramifica nelle aspirazioni, nelle illusioni che intrappolano le nostre società. La nostra civiltà, la mentalità del nostro tempo ci spingono a dare il meglio di noi.
Ma a vantaggio di chi? Viene da chiedersi che senso abbia la felicità a cui aspirano gli abitanti di Densidia.

                            
 
PARADOSSO APPARENTE

 

Nel futuro il mondo sarà diverso. Non so se migliore, ma di certo diverso. Nel futuro la natura violentata dal presente sarà d'acciaio impenetrabile e, offesa, non respirerà più per noi. Gli animali, anch'essi traumatizzati e stanchi, assumeranno nuove forme e le prede diverranno predatori.

L'essere umano non potrà fidarsi più neanche del proprio pesciolino rosso, così sarà costretto a vivere sulle nuvole, al di sopra della dimora dei volatili. In questo modo l'umanità avrà fatto un passo indietro e così, nel cielo ricreerà la nostra era dagli albori, come se non avessimo mai vissuto sulla terra, un nuovo inizio.
Un'utopia paradossale.
Le città inizieranno a volare, sospese nel cielo come enormi mongolfiere di tante etnie diverse.
Nasceranno nuovi cibi, nuove culture, e nuove tradizioni, ma le piccole mongolfiere saranno ugualmente distanti come la civiltà lo era sulla terra, o forse anche di più.
Le persone, in quanto esseri umani non cambieranno e brameranno sempre più potere di quanto un insignificante ammasso di organi senziente possa meritare e anche le città volanti coleranno a picco, finendo negli abissi, dando all'uomo sempre un posto nuovo dove vivere.
Ma l'uomo non imparerà mai quale sia il suo posto e così si estinguerà poco dopo, lasciando le città abbandonate a nuove società più intelligenti.
Più disumane.

                                                                    Vania Mariano

                      (classe 4aB Liceo Artistico I.I.S. “Duni-Levi”, Matera)

 


CASA

 

Ci sono giorni in cui il mio paese è buio. La nebbia è fitta e a stento vedo oltre il mio naso. Passando per le strade le persone non si accorgono di me. L'aria è pesante e i capelli mi si attaccano alla testa. Se parlo nessuno mi sente. I palazzi sono grigi, austeri e troppo alti per me.
Questo posto mi rifiuta. Non c'è nessuno di familiare.
Ci sono giorni in cui nel mio paese piove. La pioggia sbatte contro i vetri e canta melodie sempre nuove. La casa diventa un'accogliente prigione. Sono costretta a guardare la realtà. Il tempo mi fissa dall'alto. I pensieri sono i miei compagni. Il letto la mia tomba.
Ci sono giorni in cui nel mio paese fa caldo.
I bambini corrono per le strade. Gruppi di ragazzi sono fuori dai supermercati, facendo i conti prima della spesa per una festa.
Le persone vanno a camminare nei boschi vicini e non si portano gli ombrelli. I cani scodinzolano. Posso passeggiare tranquilla, per la strada troverò i miei amici. Ci saranno giorni in cui il mio paese sarà vuoto. Io non lo vedrò, lui non vedrà me. Ci penserò con nostalgia. Non ci sarà più nessuno ad aspettarmi, né un posto per me. Saremo sconosciuti.
L'utopia sarà una meta lontana. Sarà un altro paese. Sarà un altro mondo. La mia utopia cambia sempre, e io con lei.
Il mio paese cambia sempre, e io con lui.

                                               Teresa Anna Maria Paradiso

                   (classe 4aB Liceo Artistico I.I.S. “Duni-Levi”, Matera)

 


DENSIDIA


Il viaggiatore raggiunge Densidia dopo nove lune di viaggio attraverso la lussureggiante foresta che la circonda da ogni lato, lambendone le alte fortificazioni con lunghi rami frondosi. Infatti, tra la fitta vegetazione e le mura non c’è la minima separazione, che sia strada o fossato, così che appena la vista non è più oscurata dal fitto fogliame, lo diventa dalle enormi pareti di marmo che si estendono a dismisura, a destra e a sinistra.
Il viaggiatore entra da un basso ingresso fumoso che, da qualunque punto della foresta egli si ritrovi ad uscire, gli si porrà sempre davanti, malgrado sia l’unico accesso alla città.

Non passa molto tempo in un lungo corridoio prima che alla fine di questo si intraveda una luce, ed egli pensi di aver attraversato le mura, per poi raggiungerla e rendersi conto che non è luce naturale, ma di torcia, e di trovarsi in una stanza.
Prosegue così per un po’, per poi accorgersi di essere finito in un labirinto, fatto di camere, corridoi, porte, enormi sale dal soffitto alto quanto dieci elefanti, con passaggi che si aprono a venti piedi di altezza, raggiungibili solo arrampicandosi ai muri, scavando appigli con le unghie tra le fughe dei mattoni.
Ogni apertura reca un’indicazione: “Per Densidia”, così che anche due porti situate agli opposti di una sala sembrino portare nello stesso luogo. Al viaggiatore non resta che affidarsi al fato per decidere quale strada prendere, imboccarla, dopo ore di dubbio e meditazione, per poi, a volte, dopo un lungo vagabondaggio in corridoi bui e umidi, ritrovarsi nella stessa sala che aveva lasciato, entrando dalla stessa porta con la quale vi era entrato ore prima.

Spesso negli angoli, sui muri, sono incise, graffiate, rudimentali mappe del labirinto, lascito di vecchi raminghi che hanno percorso quei bui cunicoli, quei maestosi viali, centinaia, se non migliaia di volte.
Chi le trova cerca di memorizzarle, annota i percorsi su fogli, sui lembi del mantello, sulle membra; imbocca una porta, sicuro di sé, per rendersi conto, centro metri più avanti, che una porta è stata murata, che un arco è crollato, che ne è stato aperto un altro, che i gradini di una scala sono così alti da essere impraticabili, che quel corridoio che avrebbe dovuto svoltare a destra in realtà procede dritto, giù, nelle tenebre del sottosuolo.           
Il viaggiatore comincia a pensare di aver sbagliato città, ma ecco che incontra altri come lui, seduti, appoggiati al muro in una cantina polverosa, che tracciano disegni color sangue di Densidia, così come era stata descritta loro, ognuno diverso dall’altro.
Chi racconta di guglie dorate, chi di cattedrali di marmo, chi di floridi giardini pensili. Ma tutti concordi sul suo nome, e sul fatto che il labirinto sia senza alcun dubbio la strada per arrivarci.
E allora il viaggiatore riprende forza e continua a camminare e a imboccare corridoi, con la rinnovata determinazione di non tornare mai indietro.
Quando è ormai vecchio e stanco, con l’unico desiderio di rivedere il cielo, sale per un'ultima scala e si ritrova sulla terrazza di un’alta torre. Respira l’aria a pieni polmoni, per la prima volta da una vita, e guarda il labirinto, dall’esterno.
Corrisponde a tutte le mille descrizioni che ha sentito, vede guglie dorate, cattedrali di marmo, giardini pensili.
Siede sul parapetto, mentre la osserva, e si chiede, per un’ultima volta, chi mai avrà potuto costruire una simile trappola.          

                                                      Annunziata Giovinazzo

                   (classe 4aB Liceo Artistico I.I.S. “Duni-Levi”, Matera)

 

[1] Campanella Tommaso nell'Enciclopedia Treccani, in  https://www.treccani.it/enciclopedia/tommaso-campanella/.

[2] Bacóne Francesco nell'Enciclopedia Treccani, in  https://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-bacone/.

 

 
 
Mariano4

Vania MARIANO ( classe 4B Arti Figurative -  Liceo Artistico Duni-Levi Matera )
Titolo dell'opera: Paradosso Apparente
Tecnica: Inchiostro su carta

 

 

Claudia Taratufolo

 Claudia TARATUFOLO ( classe 4B Arti Figurative - Liceo Artistico Duni-Levi Matera )
Titolo dell'opera: Matrioska
Tecnica: Inchiostro su carta

 

bis Paradiso

Teresa Anna Maria PARADISO ( classe 4B Arti Figurative - Liceo Artistico Duni-Levi Matera )
Titolo dell'opera: Casa
Tecnica: Inchiostro su carta

 

Castellano3

Chiara CASTELLANO ( classe 4B Arti Figurative - Liceo Artistico Duni-Levi Matera )
Titolo dell'opera: Sguardo
Tecnica: Inchiostro su carta

 

Colonna3

Alessio COLONNA ( classe 4B Arti Figurative - Liceo Artistico Duni-Levi Matera )
Titolo dell'opera: Ignoto
Tecnica: Inchiostro su carta

 

Giovinazzo3

Annunziata GIOVINAZZO ( classe 4B Arti Figurative -  Liceo Artistico Duni-Levi Matera )
Titolo dell'opera: Densidia
Tecnica: Inchiostro su carta

 

Loperfido5

Sofia LOPERFIDO ( classe 4B Arti Figurative -Liceo Artistico Duni-Levi Matera )
Titolo dell'opera: Futuro in sospensione
Tecnica: Inchiostro su carta
 
 

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