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Democrazia e futuro
Democrazia e libertà: i temi al centro
del primo incontro di “Democrazia e Futuro”
Il 9 e 10 luglio hanno preso il via gli incontri di “Democrazia e Futuro”, il corso di formazione su politica e questioni pubbliche organizzato dal Circolo culturale “La Scaletta” per il biennio 2021/22.
La democrazia è stato il tema al centro del primo incontro, che ha avuto come protagonista il Professor Gianfranco Pasquino, importante studioso di scienza politica, caposcuola dei politologi italiani che ha raccolto l’eredità scientifica di Giovanni Sartori, oltre che apprezzato commentatore di diverse testate giornalistiche e televisive.
La prima due giorni si è dunque incentrata su una discussione a tutto raggio circa le promesse mantenute e mancate della democrazia. Un tema tornato recentemente di attualità, soprattutto in seguito a due importanti fenomeni.
In primo luogo, l’affermazione dei movimenti populisti a cui abbiamo assistito nel corso dell’ultimo decennio, che ha finito con l’alimentare fra i cittadini e nell’opinione pubblica una forte critica, spesso addirittura indiscriminata, alle istituzioni della democrazia rappresentativa e alla loro presunta incapacità di soddisfare aspettative e domande della società civile.
In secondo luogo, la pandemia da Covid-19, che nel corso dell’ultimo anno e mezzo ha messo a dura prova i nostri modi di convivenza, a livello di comunità nazionale così come nel mondo globalizzato, che a causa dell’emergenza sanitaria sono stati costretti a sperimentare una repentina contrazione dei canali della partecipazione politica, un rafforzamento di autorità nelle mani degli organi esecutivi di governo e una limitazione dei diritti e delle garanzie costituzionali. Senza dimenticare che il diffondersi del contagio su scala globale ha prodotto importanti conseguenze in termini etici e di giustizia su come condividiamo i costi e i danni di eventi catastrofici che possono verificarsi sul pianeta in cui ci accade di vivere.
Tutto ciò sollecita chiaramente uno sguardo più attento e severo sul valore che per noi ha la democrazia, che peraltro dovrebbe indurci a delineare un serio e distaccato bilancio di ciò che il metodo democratico ha rappresentato e continua a rappresentare, dal punto di vista storico e culturale, per il mondo occidentale.
Ma per districarsi minimamente nel ginepraio di questioni così spinose, occorre anzitutto comprendere bene che cosa sia la democrazia. “La peggiore forma di governo al mondo, eccezion fatta per tutte le altre!”, come ebbe una volta a dire con una sagace quanto indovinata battuta Winston Churchill.
Gianfranco Pasquino, il cui percorso scientifico e intellettuale si è costruito a partire dalla lezione di due grandi maestri quali Norberto Bobbio e Giovanni Sartori, ha contestualizzato da subito la riflessione sul metodo democratico all’interno di quella irriducibile tensione fra positivo e normativo che da sempre contraddistingue questo tema.
Fu, in particolare, Giovanni Sartori a sottolineare con grande chiarezza come la democrazia rappresenti un oggetto di studio molto particolare, la cui analisi non può in nessun caso prescindere dal considerarne la natura al tempo stesso descrittiva e normativa.
Sì, perché il nostro ragionare sulla democrazia da un punto di vista descrittivo, per come essa è, e per come funziona, non può che essere sempre e comunque inevitabilmente intrecciato ai nostri argomenti sulla democrazia dal punto di vista normativo, per come essa dovrebbe essere e rispetto ai requisiti che dovrebbe soddisfare per essere una buona democrazia.
In questo ineliminabile intreccio fra la democrazia per come è e per come dovrebbe essere, fra prospettiva descrittiva e prospettiva normativa, si ritrova tutto ciò che rende unica, dal punto di vista sia storico che teorico, la forma di regime democratica. Ciò ha anche a che vedere con il tema del pluralismo, che rappresenta un principio fondativo della democrazia nella tradizione liberale occidentale.
Il metodo democratico, infatti, si contraddistingue in virtù del fatto di permettere un trattamento pacifico dei potenziali conflitti che inevitabilmente si innescano in una società complessa a seguito della sua natura irriducibilmente pluralista. Con la nascita della modernità e a seguito delle guerre di religione, a partire dall’Inghilterra del XVII secolo e poi nel resto d’Europa, il mondo occidentale ha scoperto la separazione fra Stato e Chiesa (rammentiamo la massima di John Stuart Mill “Chierico nella propria Chiesa e cittadino sulla pubblica piazza”) e con essa la legittima rivendicazione di interessi diversi in una società che diventava plurale.
Ma il pluralismo non è soltanto un dato di fatto, al quale si ricollega il valore del metodo democratico come procedura in grado di regolare la convivenza fra soggetti portatori di interessi e concezioni del mondo diverse.
Il pluralismo è qualcosa che ha anche un valore intrinseco, poiché una società plurale è una società dotata di maggiore varietà e per questo più florida e capace di adattarsi meglio alle trasformazioni di un mondo in incessante cambiamento. Perciò noi oggi, nel contesto delle democrazie occidentali, non tendiamo più a separare il pluralismo come dato di fatto, qualcosa che ci accade di vivere quotidianamente nella nostra esperienza di convivenza con l’altro, dal pluralismo come elemento di valore, che trova riscontro nelle libertà e nei diritti che riconosciamo nella nostra comunità politica a chiunque, indipendentemente da sesso, razza, religione e altre caratteristiche identitarie che caratterizzano ciascuno nella sua peculiare soggettività.
E ancora, quando per esempio diciamo che la democrazia è il “governo del popolo per il popolo”, da un lato sottolineiamo la natura peculiare della democrazia come regime che si legittima attraverso il consenso popolare, ma al tempo stesso, dall’altro lato, indichiamo che questo governo deve essere vincolato da una forma di responsabilità, che è quella proveniente dal complesso di garanzie costituzionali, a tutela dei cittadini, così come dell’architettura dei poteri del regime democratico, senza le quali la democrazia sarebbe inevitabilmente destinata a una deriva demagogica.
Con ciò, il popolo in democrazia governa, attraverso la libera espressione del consenso, in elezioni libere, frequenti, competitive e corrette.
Ma al tempo stesso, il governo si esercita in maniera responsabile verso il popolo, ossia osservando una serie di vincoli che, da un lato, limitano l’esercizio del potere sovrano dall’interferire sulle libere volizioni dei cittadini, mentre dall’altro, bilanciano il potere esecutivo con altri poteri dello Stato democratico parimenti legittimi, quali il potere legislativo e quello giudiziario, allo scopo di prevenire l’eventuale prevaricazione del potere di chi governa sugli altri poteri costituzionali.
Fra pluralismo e garanzie costituzionali, intese sia dal punto di vista dei diritti dei cittadini sia da quello del bilanciamento fra i diversi poteri dello Stato, trova spazio il principio cardine di ogni regime democratico, che è il principio di libertà. Il principio di libertà è infatti essenziale per qualsivoglia - ipotetica o reale - variante di democrazia noi si voglia invocare.
Nel suo ultimo volume, Il mosaico della libertà, il filosofo Salvatore Veca, purtroppo venuto a mancare proprio in queste settimane, parla della forma della vita democratica richiamandosi all’immagine di un “mosaico”. Un mosaico fatto di tante tessere, dove «ogni distinta tessera deve la sua struttura a una contingenza storica e ha le sue radici in un contesto determinato e situato». Perché quando pensiamo a una democrazia, prosegue Veca, pensiamo a «un regime politico che ospita differenti istituzioni, norme di livello costituzionale e ordinario, procedure elettorali per la scelta di chi ha diritto temporaneo a governare, provvedimenti e scelte collettive, interpretazioni politiche alternative dell’interesse pubblico di lungo termine».
Queste condizioni sono tutte parimenti importanti, poiché ci permettono di tracciare una netta distinzione fra regimi che sono democratici e regimi che non lo sono. Tuttavia, secondo Veca, questo risulta un resoconto incompleto, e in larga parte ancora insoddisfacente, se non lo si integra con la presenza di quella condizione indispensabile che è la libertà e con l’aspetto in cui essa maggiormente si riconosce all’interno di una polity democratica, cioè lo spazio pubblico in cui tale libertà viene esercitata.
La democrazia, perciò, poggia su due pilastri fondamentali, nessuno dei quali può fare a meno dell’altro: il pilastro popolare, in nome del quale la democrazia si legittima a partire dal consenso espresso dai cittadini attraverso il voto; e il pilastro liberale, rispetto al quale esiste democrazia solo qualora siano assicurate sufficienti condizioni di possibilità per uno spazio pubblico ampio e plurale. In questo senso, la democrazia vive di voto e libertà.
Ed è proprio la libertà che permette al voto di non degenerare nella dittatura del popolo sul popolo, cioè di non produrre l’assimilazione della volontà popolare espressa attraverso il consenso elettorale della maggioranza dei cittadini all’autentico e unico volere del popolo, come una certa vulgata populista tende a fare sostenendo che le proprie valutazioni politiche sono le sole in cui il popolo si riconosce davvero.
Se è vero che la democrazia è anzitutto libertà, è altrettanto vero che proprio grazie alla libertà, la democrazia si configura come un tipo di regime - per così dire - “resiliente”, ovvero capace di cambiare e trasformarsi, poiché lascia sempre aperta la via a una possibilità alternativa.
Ed è proprio per questo motivo che la democrazia per noi ha senso e valore.
In tempi recenti si è molto parlato di crisi della democrazia, soprattutto a causa del crescente distacco che va consumandosi fra i cittadini e le istituzioni democratiche. E ciò ha indotto molti osservatori a parlare di “crisi della democrazia”. Tuttavia parlare di crisi della democrazia risponde a condizioni di per sé molto esigenti. Poiché la crisi alla quale stiamo assistendo investe la legittimazione nei confronti delle istituzioni della democrazia rappresentativa, a partire dagli attori che la incarnano nella trasmissione delle domande dei cittadini, cioè i partiti.
Ma questa è una crisi che avviene “nella” democrazia, nelle sue istituzioni, non della democrazia come regime, che finora in nessuno dei Paesi democratici occidentali è stata messa apertamente in discussione.
Se infatti è vero che in anni recenti le istituzioni della democrazia rappresentativa sono state oggetto di critiche anche molto pesanti, che peraltro hanno trovato a loro volta uno sbocco “democratico” nell’affermazione di partiti e movimenti populisti in gran parte dei Paesi occidentali, è altrettanto vero che i regimi democratici colpiti da tali critiche, pur tra diverse difficoltà, abbiano continuato ad operare senza subire sovvertimenti.
E ciò è avvenuto proprio perché la democrazia, in ragione del suo intimo rapporto con la libertà, mantiene e riproduce sempre quello spazio per una possibilità alternativa, grazie al quale è in grado di rigenerarsi.
Luciano Fasano
(Professore e Coordinatore Scientifico per
il Circolo culturale “La Scaletta”
del Progetto “Democrazia e Futuro”)
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