"L'arte che si sottrae al flusso perenne per divenire forma,
è ciò che opponiamo alle tentazioni del caos"
Dietro le quinte
Una ricerca senza fine
Mi chiamo Giorgio Cravero e sono un fotografo.
Sono nato nella Torino degli anni ’70 e qui vivo, ho il mio studio fotografico e le mie relazioni più importanti. Dopo aver frequentato l’Istituto Europeo di Design ho iniziato il mio percorso lavorativo occupandomi di fotografia, di architettura e di still life, due mondi che ben si conciliano con la mia personalità, riflessiva e attratta dai dettagli.
Credo di essere sempre stato un buon osservatore, caratteristica che si coniuga con una naturale timidezza che mi ha sempre trascinato verso il guardare e l’ascoltare, più che l’intervenire.
Già, trascinato, non sempre è semplice convivere con la timidezza, ancor meno in un’epoca di “condivisione mediatica totale”, e naturalmente parlo anche da un punto di vista lavorativo.
Il passaggio dalla fotografia di architettura allo still life, invece, l’ho vissuto come una crescita personale, come il primo passo verso quella consapevolezza di sé che getta le basi per costruire e affinare il proprio percorso professionale.
Ho semplicemente accettato l’esigenza di avere tutto sotto controllo.
La fotografia di architettura ti costringe a “collaborare” con la luce naturale, ad adattarti ad essa, data l’impossibilità di controllare o modellare il sole.
Mi sono forse per la prima volta reso conto di quanto la luce potesse essere, o meglio, dovesse essere il mio strumento narrativo principale, e quindi avevo bisogno di poter plasmare questo strumento per farlo voce della storia che volevo raccontare.
Una storia di assenze (nella stragrande maggioranza del mio lavoro non c’è l’essere umano), e contemporaneamente di presenze, gli oggetti, che attraverso forme, materiali, texture e colori ci raccontano un pezzo dell’uomo, o almeno un’idea del loro creatore.
Ed ecco quindi che per una serie di ragionamenti e, non lo posso certo negare, per una serie di quei famosi eventi casuali (o per i sognatori, per destino), mi sono ritrovato ad entrare come socio in Studio Blu, allora guidato da Giulio Buono, tra l’altro mio ex docente allo IED, e insieme a Thomas Guiducci, che allora gestiva la parte di post-produzione.
Lo ricordo, a distanza di anni, come un periodo complesso, anche se molto stimolante. Dal lato personale avevo appena vissuto un lutto atroce, dal lato lavorativo bisognava “limare” gli spigoli di tre personalità creative, mentre affrontavo volumi di produzione e di lavoro che non avevo mai affrontato prima.
Fortunatamente, pur essendo di natura abbastanza pigro (bell’accoppiata con la timidezza eh?!), ho risposto a tutta quella pressione concentrandomi il più possibile sul lavoro, sfruttando la lunga esperienza tecnica di Giulio e proprio grazie ai primi lavori fatti insieme, ho scoperto la passione e propensione per la fotografia di beverage.
Certo, rileggendo quanto scritto fin qua, difficilmente si riesce a coniugare le parole con la quotidianità della fotografia commerciale, scadenze impossibili, discussioni eterne sui budget, insomma, la solita vita del “ci serve per ieri, perfetto e deve costare pochissimo”…
E qua prende forma la dualità della fotografia, a mio parere.
Da un lato arte, ricerca, progetti personali, dall’altro strumento commerciale di comunicazione, con tutti i limiti ed i difetti che conosciamo. Ma proprio per queste contraddizioni l’ho scelta come vita e come carriera. Un percorso mai uguale a sé stesso, un percorso di apprendimento ed evoluzione continua (dico sempre che smetterò di fotografare quando non avrò più nulla da imparare, così come spesso mi “rivendo” il cliché che dice che la fotografia migliore è quella ancora da scattare), un percorso fatto di quotidianità, di tecnica e di artigianalità (nel senso più alto possibile).
Sì, di artigianalità, pur con la rivoluzione digitale di un decennio fa. Si lavora con le mani, si modella la luce FISICAMENTE, spesso allestendo i set si costruiscono scenografie (nuovi mondi da scoprire).
E la costanza nella produzione e nella sperimentazione sono tutto in questo lavoro. Non credo di allontanarmi dal vero dicendo che meno di un quarto della mia produzione è commissionato. Contemporaneamente è pensiero, è arte, è creare un mondo per raccontare una storia, un’idea, un sentimento, propri o di qualcun altro, come nel lato più commerciale del mio lavoro. Questo, naturalmente, è vero se uno si accosta con rispetto a tutto il suo lavoro.
Dietro ogni oggetto, anche una foto su bianco per e-commerce (lavoro rispettabilissimo, non fraintendetemi, ma sicuramente non al vertice della creatività e dell’interpretazione), comunque c’è il lavoro, la vita ed il pensiero di persone, e già solo questo merita rispetto.
È qua che secondo me, anche se con una leggera acrobazia di pensiero, vedo lo spirito dell’umanesimo nella mia professione. Se si segue il filo rosso, si arriva sempre alle persone. E da tutti i lati: le immagini sono per le persone, coinvolgono persone nella loro realizzazione e nascono da idee di persone, con tutti gli step intermedi del caso, che sempre coinvolgono persone.
E io fotografo oggetti!Tornando con i piedi per terra, e avvicinandoci a oggi (mi coglie sempre impreparato constatare che sono più di vent’anni che faccio questo lavoro), se dovessi riassumere il mio percorso professionale lo farei utilizzando le parole “ricerca” e “bellezza”, infatti, nel tempo, ho fatto questo: mi sono applicato per combinare tecniche e visioni al solo fine di raccontare il mio modo di percepire gli oggetti e lo spazio, le forme e i materiali inscrivendo tutto in un orizzonte visivo ed emotivo totalmente ispirato dalla bellezza e dalla ricerca della proporzione. Rappresenta una sorta di stile, volendo a tutti i costi applicare un’etichetta. A volte capita che qualcuno scambi le mie immagini per dei 3D.
L’ho sempre vanitosamente preso come un complimento!
È il modo di vedere, la costante che rimane a tutti i cambiamenti, alle evoluzioni, alle mode (o trends, per sentirmi giovane), agli strumenti che utilizzo.
Riprendendo la mia biografia, dopo tre/quattro anni il percorso in Studio Blu subisce una trasformazione, rilevo lo Studio e proseguo in solitaria, portando avanti la mia visione e cercando di sviluppare sempre più un linguaggio che mi rappresentasse e che cercasse di essere riconoscibile.
Proseguo anche con la ricerca personale e nel 2016 ho il privilegio di vincere l’Hasselblad Masters Award con un progetto che considero una svolta importante. Aumentano i clienti internazionali, inizia l’avventura della formazione (sintomo inequivocabile di vecchiaia) e insieme a Ivan, che ormai da anni si occupa di tutta la parte di post-produzione concordiamo di iniziare a sperimentare con il video.
Un'altra rivoluzione!
Al di là degli aspetti tecnici, la fotografia è solitamente un po’ one man band, il mondo video è fatto da squadre di persone, ognuno con competenze specifiche. Un cambiamento radicale, a cui si aggiunge una seconda rivoluzione, questa volta mentale: da sempre il cervello di un fotografo cerca di riassumere la storia in una sola immagine. Ora la strada si inverte e si allarga a dismisura: nel video c’è il tempo, c’è il movimento, c’è il suono. Tutti nuovi strumenti narrativi.
Il mio percorso è, concludendo, una specie di lunghissimo work in progress, e forse è proprio qui il segreto che continua a farmi rimanere innamorato della mia professione.
Una volta, introducendo una mia mostra, l’amico e grande esperto di fotografia Maurizio Rebuzzini, disse che in fondo la fotografia è un atto d’amore; non ho mai dimenticato quella frase che ho fatto mia e che oggi ancora mi guida.
Giorgio Cravero
(Fotografo)
Di seguito alcune foto di Giorgio Gravero.
Nuvole
Guinness
Project Geometries
Nespresso
Silenzi Urbani
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