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 "Sovente è necessario alla vita che l’arte intervenga a disciplinarla…"

 

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Metaverso… welcome in the virtual jungle!  

Nelle cronache dell’Era tecnologica il 28 ottobre 2021 sarà ricordato come una data fondamentale per segnare l’origine del salto quantico che sta proiettando l’umana specie nell’inedita dimensione del Metaverso. 
È il giorno in cui ufficialmente questo «universo-oltre» è stato presentato da un disincantato Mark Zuckerberg con queste parole: «un luogo dove giocare, comprare beni virtuali, collezionare arte virtuale, trascorrere il tempo libero con i sosia virtuali (avatar) degli altri, e partecipare a riunioni di lavoro sempre virtuali».
In estrema sintesi un internet personificato, come ha  spiegato il creatore di Facebook che, specchiandosi nella sua versione digitalizzata simil-disneyana,
ha illustrato il progetto con cui  ha relegato il  suo social a  semplice ramo di azienda di Meta, un super brand rappresentato da un logo che ricorda il simbolo dell’infinito 8 .
Il vessillo del nuovo impero è però un infinito ambiguo e deformato, scelto per  evocare - ad un livello subliminale -  la forma degli oculus, i visori per la realtà immersiva che permetteranno di vivere quel “senso di presenza realenell’immateriale dimensione di questo social 3D a 360° che definisce l’essenza del “Metaverse”.

Dopo il passaggio evolutivo da Homo Analogicus  all’Homo Digitalis abbiamo attraversato nuove curvature spazio-temporali, adattandoci rapidamente al nuovo habitat della Rete, in cui le menti  sono connesse  in ogni momento e in ogni luogo  e i cuori volteggiano al ritmo acrobatico delle insondabili leggi algoritmiche, sospesi emozionalmente nella decodifica di quale sia la verità, dettata o suggerita, dalle percezioni aumentate e virtuali.
Ma era solo l’inizio di una nuova avventura.
Con esponenziale accelerazione di velocità, l’inarrestabile rivoluzione Hi-tech ci ha, infatti,  già scaraventati  alle soglie della nuova Era del Meta-universale, in cui la nostra identità si sdoppierà in vissuti sensoriali paralleli e /o alternativi,  come per gli avatar conosciuti grazie al celebre film di Cameron.
Non appare azzardato, quindi, parlare dell’alba di una nuova civiltà di cui non possiamo ancora immaginare lo sviluppo dei potenziali traguardi evolutivi. Possiamo  solo attingere dalla Fantascienza, in cui i futuri possibili sono stati sdoganati da opere cinematografiche e letterarie che hanno creato l’immaginario collettivo contemporaneo.
Personalmente ringrazio per l’eredità familiare di centinaia di libretti della mitica collezione “Urania” della Mondadori che, dal 1952, ha regalato pagine di turbamenti e scoperte, spesso  anticipando di decenni quello  che ora definiamo innovazione tecnologica.
Proprio  la passione per queste storie fantastiche, rese indimenticabili anche dalle inquietanti illustrazioni di copertina racchiuse nell’iconico “cerchio rosso”, mi ha fatto approdare al libro Snow Crash, pubblicato nel 1992 da Neal Stephenson, in cui si parla per la prima volta di Metaverso. In quest’opera è inteso come  una realtà virtuale parallela al quotidiano in cui gli umani vivono esistenze oltre il piano fisico.
Va precisato, però, che l’autore (che ha twittato l’estraneità alla scelta del nome e al business  del discusso  Zuckerberg)  nel volume narra di un distopico mondo dominato dall’anarco-capitalismo, in cui questo Augumented Universe  è davvero poco rassicurante.
Forse è per questo che, da una prospettiva di umanesimo digitale,  è più che legittima una certa incertezza su quale sia lo spirito giusto per  varcare la soglia del Meta-portale.
È sano librarci con fiducioso entusiasmo  nell'utopia di un universo tutto da costruire attraverso la libera espressione dell’ingegno umano su una piattaforma digitale che offre, nelle premesse, infinite probabilità di esperienze grazie alla creazione partecipata di  milioni di Meta workers e di utenti? 
O sarebbe preferibile avvicinarsi con le menti illuminate dal fuoco sacro del  dubbio in quella che potrebbe rivelarsi una  trappola di un “parallelo stile  “Matrix”,  in cui la realtà si trasformerà in un “Meta -videogame”, una jungla digitale, che assorbirà le nostre vite e dove sarà facile la manipolazione e il controllo da parte della, non proprio limpida, Industria del  Big Tech & co?
Quest’innovazione della Rete, in sintesi, è un ambiente digitale persistente ed immersivo intrecciato  con il nostro mondo fisico attraverso i contenuti del physical world in real time, che spalanca imprevedibili scenari socio-culturali e antropologici in cui si evolveranno, soprattutto, nuove forme di business.
Non a caso gli analisti della finanza stimano un’accelerazione della domanda digitale che potrebbe portare a introiti da 50 miliardi di dollari entro il 2030.
Possiamo solo supporre  che questa dimensione ibrida, dove si potrà interagire con i propri contatti anche con estensioni fisiche come i guanti “dataglove” -  dotati di sensori per simulare stimoli tattili - e vari dispositivi smart che già arredano il nostro parco domotico casalingo (es.  Alexa, Google Assistant, ecc.), produrrà un modello relazionale sconosciuto.

Il Metaverso, come enunciato da Zuckerberg, è di fatto una collaborative platform work in progress,  dove le esperienze di potenziamento dei sensi, l'economia creativa e la tecnologia, saranno  generate  in modalità cooperativa globale, con una  responsabilità di  tutte le persone che si muoveranno e interagiranno al suo interno, anche economicamente.
Ad oggi le news più interessanti sono relative al coinvolgimento di gruppi dell’industria dell’entertainment o della moda.
Per esempio, nel gaming - dove i players sono da tempo un’estensione digitale dei giocatori in carne e ossa -  sono già presenti grandi firme che vestono gli avatar: Louis Vuitton veste League of Legends, Gucci Rodlox, Balenciaga Fortnite. Inoltre, sono già state celebrate le prime nozze ufficiali nel Metaverso tra due dipendenti di un’azienda di comunicazione digitale statunitense, con tutti i servizi annessi ad un party in pieno stile matrimoniale.
Ma in questa rubrica, oggi,  desidero solo prevedere tutte le potenzialità attivabili in maniera positiva per le digital humanities. Pensate, ad esempio, alla sperimentazione nella didattica “partecipa(t)tiva”,  favorita dalle attitudini dei  giovani nativi digitali. Si possono immaginare coinvolgenti  corsi di Storia in cui gli studenti manovrano i loro sosia digitali in una replica dell’antica Grecia, nell’Impero Romano, nel Medioevo di Le Goff, nel Rinascimento ecc.
O lezioni di Geografia  in cui i ragazzi, grazie ai loro avatar che viaggiano virtualmente attraverso i continenti o le Ere geologiche, per vivere esperienze di apprendimento inimmaginabili.
O pensate a percorsi nella storia dell’arte, della musica, delle scienze con la possibilità di immergersi in esperienze creative di ogni epoca, o sviluppare i talenti che si sono sempre sognati, come  suonare ogni strumento, praticare sport estremi e creare vera arte. A tal proposito memorizzate la sigla NFT (non-fungibile tokens) riferita ad oggetti virtuali in vendita su internet dei quali si ha la proprietà esclusiva.
Un mercato, quello degli NFT, in continua espansione che favorisce anche la collezione di opere digitali, di cui si parlerà sempre di più nei prossimi mesi.
Si può delineare anche il futuro - in alcuni casi già presente -  delle professioni: architetti e ingegneri potranno far testare ai clienti ambienti simulati, medici utilizzare applicazioni per la cura di malattie neurologiche, commercianti proporre  prove virtuali di ogni articolo, acquistabile con le criptovalute.
Certo l’euforia di questi frammenti di pensiero sparsi su quello che potrà diventare un meta-universo totalizzante, non escludono l’ipotesi  di un futuro in cui  il rischio di inglobare anche  il negativo della realtà fisica è alto, oltre al dubbio che il Metaverso possa diventare un luogo di fuga o di prigione, in un dis-adattamento delle menti moltiplicato all’infinito nel tentativo di ambientarsi armonicamente nel The Game, per citare l’interessante saggio di Baricco sul contemporaneo multidimensionale digitale, la nuova frontiera da esplorare.

Ma la voglia di esplorare dell’uomo, la paura dell’ignoto, l’ansia del pericolo ha mai fermato il progresso?
Ripenso agli autori  di fantascienza e mi vengono in mente le parole del grande Isaac Asimov: «Non è saggio rifiutarsi di affrontare il pericolo, anche se bisogna farlo con la dovuta cautela. Dopotutto, è questo il senso della sfida posta all’uomo fin da quando un gruppo di primati si evolse nella nostra specie. Qualsiasi innovazione tecnologica può essere pericolosa: il fuoco lo è stato fin dal principio, e il linguaggio ancor di più; si può dire che entrambi siano ancora pericolosi al giorno d’oggi, ma nessun uomo potrebbe dirsi tale senza il fuoco e senza la parola».  

 

 

Valentina Scuccimarra

(Docente di semiotica dei linguaggi digitali)

 

Dante 2

"Metaverse"

 

 

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