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Numeri & Idee

Effetto Guerra ed Economia Politica Internazionale: a ciascuno il suo

 

  1.  Effetto Guerra: l’Europa ... 

Esiste un legame tra il concetto di umanesimo e l’uomo di Machiavelli?
Chi scrive è troppo ignorante per dare una risposta a questa domanda. Però è possibile mostrare come l’uomo di Machiavelli possa aiutare a spiegare la reazione delle diverse politiche economiche all’effetto guerra. Lo scorso 10 marzo la BCE apriva il suo comunicato stampa relativo alle decisioni di politica monetaria con l’aggressione russa all’Ucraina, definendolo un “evento spartiacque per l’Europa”. Ma sarà uno spartiacque? E lo sarà per tutti?
Oggi possiamo solo registrare come l’effetto guerra è stato come il sasso in uno stagno, dove però gli stagni sono uno diverso dall’altro. Per fotografare come siano diversi gli stagni, è interessante raccontare come hanno reagito alla notizia dell’evento bellico le banche centrali dell’Area Euro, degli Stati Uniti, della Cina. Le banche centrali, insieme ai governi, rappresentano chi decide la politica economica.
Quindi, in ciascun contesto geografico, la loro reazione è lo specchio della reazione di quel contesto alla drammatica novità che i fatti ucraini hanno rappresentato.

Partiamo da noi, cioè dalla Banca centrale europea (BCE). Nella sua prima reazione ufficiale dopo il 24 febbraio, la BCE prese atto del fatto che l’aggressione sovietica alla nazione ucraina aveva fatto materializzare il rischio geopolitico, già presente nelle sue analisi nei mesi precedenti, come una eventualità rilevante da considerare.
Una premessa: la strategia di una banca centrale può essere influenzata dal fatto che la politica monetaria è decisa da un consiglio direttivo, in cui ciascun banchiere centrale può avere una visione più o meno attenta a quello che è il rischio principale per una moneta: perdere il suo valore.
Da questo punto di vista, nell’analisi economica si distinguono due visioni, che ovviamente poi nella realtà sono sfumate, mai esplicite, ma pur tuttavia influenti: da un lato ci sono i falchi, per cui la difesa del valore della moneta deve essere una priorità sempre e comunque; dall’altro lato ci sono le colombe, per cui i fenomeni di degrado monetario, come l’inflazione o la svalutazione, possono essere, almeno temporaneamente, tollerati.Ora, tornando ai fatti di febbraio, prima dell’aggressione russa, la BCE aveva dal dicembre 2021 iniziato un percorso di normalizzazione monetaria: di fronte ad una ripresa economica consolidata, poteva essere considerata finita l’emergenza macroeconomica che, praticamente dal 2014, aveva portato la politica monetaria ad essere eccezionalmente espansiva: tanta liquidità, tassi di interesse prima nulli, pi negativi.
Finita l’emergenza, la creazione di moneta poteva gradualmente rallentare, ed i tassi di interesse altrettanto gradualmente potevano tornare ad essere normali, cioè stabilmente positivi. Già allora,  la posizioni dei falchi all’interno della BCE, preoccupati dall’innalzamento dell’inflazione, aveva iniziato a farsi sentire, con inviti ad accelerare la normalizzazione.  Ma anche le colombe non mancavano di far emergere le loro preoccupazioni, temendo che una normalizzazione precoce potesse intaccare la ripresa economica. 

Come è cambiato allora l’atteggiamento della BCE di fronte all’effetto guerra? 
Il messaggio è stato chiaro: data l’incertezza, sia la rotta che la velocità del percorso monetario sarebbero state le stesse. Rimanendo pronta la BCE a modificare l’una e l’altra, se nuove informazioni avessero  cambiato lo scenario macroeconomico.  È un annunzio che  riecheggiava la filosofia del gradualismo nella politica monetaria, riassunta da una frase pronunciata da Mario Draghi, all’epoca presidente della BCE, nel marzo del 2019: in quell’occasione  si consigliava, quando si è al buio, di muoversi a piccoli passi. Nei mesi successivi, e fino ad oggi, l’evoluzione dei prezzi al consumo si è riflessa in un cammino che ha confermato il gradualismo, ma accelerando i tempi.

  1. ... gli Stati Uniti e la Cina

Diversa è stata la reazione della banca centrale americana, la  FED. Il 16 marzo scorso la banca centrale americana prendeva sì atto dell’evento bellico e del suo effetto in termini di maggiore incertezza, ma soprattutto  si concentrava  sulla necessità di riportare il tasso di inflazione verso l’obiettivo del due per cento.
A tale fine, si decideva  una prima risalita dei tassi, anticipando ulteriori innalzamenti – poi avvenuti – sempre per contrastare la crescita inflazionistica. Per la FED l’Ucraina è lontana, perché gli effetti economici dell’evento bellico per l’economia statunitense sono trascurabili. Da questo punto di vista, è molto efficace un’ analisi dell’ultimo Bollettino Economico della Banca d'Italia che illustra quanto le diverse economie occidentali dipendano dagli scambi  con la Russia. Dati due principali indicatori – la rilevanza della domanda russa di beni e servizi, la dipendenza dalle materie prime prodotte in Russia – è evidente come ad un estremo ci sono gli Stati Uniti, mentre all’altro estremo ci sono Paesi come Italia, Olanda e Germania.

Ancora diversa è stata la reazione della Banca Popolare di Cina. Alla fine del mese di marzo – il giorno esatto non viene fornito, che è quantomeno curioso, per chi, come noi, è abituato alla trasparenza – il consiglio della banca centrale cinese si riunisce, e nel suo comunicato stampa non c’è alcuna menzione dell’Ucraina; nella analisi della congiuntura economica mondiale vi è generico riferimento alla “crescita di conflitti geopolitici”. Non c’è  traccia del rischio inflazione, che preoccupa la BCE ed ossessiona la FED.
Qui, se c’è una ossessione, è un’altra: la politica monetaria deve finanziare la crescita economica, in modo da raggiungere gli obiettivi definiti dal presidente Xi Jinping nel corso del diciannovesimo congresso del partito comunista. Ma se l’ossessione è la crescita, allora un conflitto che può minare la ripresa economica mondiale, da cui l’economia cinese molto dipende, dovrebbe preoccupare la Banca Popolare.
Nessuna preoccupazione. Almeno per iscritto. Anche nei mesi successivi. Insomma, la reazione immediata delle banche centrali all’effetto guerra è stata proprio quella richiamata all’inizio: un sasso è caduto nei laghi, ma assai diversi sono stati i cerchi concentrici.
La stessa metafora ci aiuterà, nei prossimi mesi, a capire quanto e come la crisi ucraina sarà uno spartiacque.

  1. L’effetto guerra e Machiavelli

La ragione? E che la reazione dei laghi rispecchia quella degli uomini che decidono la politica economica, che hanno un motore unico, almeno secondo  Machiavelli, : «(...) nelle azioni di tutti gli uomini, e massime dei Principi, (...) si guarda al fine». Prendiamo le sanzioni finanziarie, che hanno visto insieme Europa e Stati Uniti, ma non la Cina.È opinione diffusa che l’obiettivo delle sanzioni finanziarie sia quello di impedire che capitali esteri, o estero-vestiti, alimentino la crescita dell’economia russa, fornendo risorse che possono essere utilizzate anche per finanziare l’aggressione bellica contro l’Ucraina. Ma se questo fosse il fine, il disegno delle sanzioni sarebbe stato diverso. In primo luogo, sanzioni non finanziarie sarebbero state più efficaci.
Un esempio estremo può essere rappresentato dall’ipotesi – avanzata all’inizio dell’emergenza bellica –  dell’embargo totale dell’importazione e del trasporto del petrolio russo: le aziende dei Paesi aderenti all’embargo avrebbero dovuto astenersi dall’importare, ma anche dal trasportare verso Paesi terzi, il petrolio  russo. 

Volendo rimanere nel perimetro delle sanzioni finanziarie, se si vuole impedire l’afflusso di valuta estera verso un determinato Paese, c’è l’ipotesi dell’embargo finanziario: si impedisce ogni transazione bancaria e finanziaria verso quel Paese.
Negli anni Ottanta, venne avanzata l’ipotesi di applicare l’embargo finanziario a tutti quei Paesi – cosiddetti off-shore – le cui normative, non rispettando i criteri internazionali di trasparenza, diventavano nei fatti per quei Paesi un comodo veicolo per accogliere capitali in cerca di segretezza. Ebbene, l’embargo finanziario non è stato mai realizzato.
La ragione? Ora, come allora, è che i Paesi off-shore esistono perchè conviene ai Paesi on-shore. Traduzione: la presenza di zone grigie finanziarie consente di aumentare il numero dei Paesi che trovano conveniente aderire ad un accordo internazionale; numero che crollerebbe, se le zone grigie fossero eliminate. Le sanzioni finanziarie contro la Russia rispondono alla stessa logica, perché i costi di tali sanzioni sono diseguali tra i diversi Paesi. È evidente, ad esempio, che il costo atteso per gli Stati Uniti è minimo, rispetto a quelli di Paesi come la Germania e l’Italia. In questi casi, ci sono due possibili strade.
Una strada è quella della “geometria fissa”: il disegno delle sanzioni è rigoroso, ma accompagnato da un meccanismo parallelo di redistribuzione dei costi delle sanzioni tra i Paesi partecipanti all’accordo.
Ma sappiamo benissimo come, in generale, il tema della redistribuzione internazionale di costi e benefici fa fatica ad emergere, soprattutto  quando nei governi nazionali prevale l’orizzonte di breve periodo, per ragioni ideologiche – sovranismo – o elettorali – instabilità politica. Ed allora prevale la seconda strada, quella della “geometria variabile”: le sanzioni sono disegnate in modo flessibile e/o ambiguo, in modo da massimizzare il numero dei governi che possano, anche solo temporaneamente, aderire.

Fin dall’inizio le sanzioni contro la Russia hanno seguito il fine  della “geometria variabile”, con mezzi diversi. L’utilizzo della “repressione finanziaria” – termine con cui si indicano gli interventi pubblici che ostacolano,o almeno condizionano, la libera circolazione dei capitali –  c’è stato, ma è stato appunto parziale e variabile. Il riflesso della geometria variabile  delle sanzioni, nonché delle reazioni da parte del governo e della banca centrale russa,  si riassume nell’andamento del rublo.    Se alla fine di febbraio il valore del rublo si dimezzava, poi è progressivamente risalito, per ritornare,  all’inizio di maggio, ai valori prevalenti prima dell’inizio dell’aggressione bellica. Come spesso accade, la moneta è specchio dei fini e dei mezzi dell’intera politica economica: poi ciascuno potrà decidere se, «i mezzi saranno considerati onorevoli, e da ciascuno lodati (...)».

 

Donato Masciandaro
(
Prof.re Ordinario di Economia Politica,
Università Bocconi-Milano)

 

  

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