freccia arancio

 

"La verità è spesso più vicina al silenzio che al rumore"

 

Le stanze dell'anima

I luoghi dell’umanesimo tecnico di Sinisgalli[1]

(prima parte)

 

Premessa

La vita di Leonardo Sinisgalli (Montemurro 9 marzo 1908 – Roma 31 gennaio 1981) ha una trama avventurosa. Ma l’ordito è legato a quattro bandoli, che riconducono a quattro geografie culturali, fondamentali per la formazione e per l’imprinting leonardesco, senza le quali diventa difficile comprendere l’impurità, la complessità e l’originalità di questo intellettuale nel panorama della cultura del Novecento.
Nel 1975, Leonardo Sinisgalli pubblica in Mosche in bottiglia[2], una poesia dal titolo “Fiumi come specchi”.
Non è solo un omaggio ai fiumi del suo maestro, Giuseppe Ungaretti, ma un ripercorrere la curva della propria esistenza attraverso il fluire dei propri fiumi: l’Agri, l’Olona, il Verde, l’Aniene, il Livenza:


I fiumi come gli specchi
sono intercomunicanti.
Agri Olona Verde Aniene
si mescolano al Livenza,
confondono le acque
della mia esistenza.


L’Agri è l’infanzia lucana, felice e memorabile, il Verde (Garigliano) rappresenta i collegi campani di Caserta e Benevento, l’Olona è la strepitosa Milano che lo accoglie e lo esalta, l’Aniene è la città della formazione universitaria, ma anche della poesia e dell’arte.
Il Livenza è la pace del guerriero, il riposo del nocchiero dopo il nòstos. Sinisgalli aveva acquistato una villa a Lignano Sabbiadoro[3] alla metà degli anni Cinquanta, dopo che aveva seguito il progetto di Marcello D’Olivo di una città vacanza sul mare a forma di chiocciola.
Ma se il fiume friulano sembra essere citato per chiudere in rima il suo viaggio esistenziale e amniotico, quattro di certo sono gli angoli o i vertici della sua vita: Montemurro, Caserta-Benevento, Roma e Milano.
Qualcosa di simile dirà in una poesia del 1962, intitolata Versi scritti per il mio compleanno, e dedicati a Giorgia e Filippo[4], scritta ad Urbino[5]:


Marzo è tornato nel nostro giardino
Ogni anno mia madre mi vuole vicino.
Mi conta i denti, mi cuce i bottoni.
Marzo è alle porte sotto i torrioni.
Siamo arrivati sulla collina
Mia madre e il suo bambino.
Ci sediamo sotto gli aquiloni.
Che strano viaggio fa il vento
Dalle torri di Urbino alle torri
di Benevento,
Che raggiri che voli
Da Montemurro ai Parioli!

Montemurro, terra degli affetti e delle macchine semplici

Leonardo Sinisgalli non è figlio di una cultura industriale, non vive la dimensione dei capannoni urbani e suburbani, non sente l’afrore del metallo nelle narici.
Non è neanche figlio di un operaio. Eppure sviluppa in un piccolo borgo del Sud lontano dai grandi processi di industrializzazione, un amore profondo per la tecnologia, per le macchine, per gli utensili[6].
Montemurro era sì un paese devastato dal terremoto del 16 dicembre del 1857 che ne dimezza la popolazione con 4.000 morti, ma era anche uno dei centri più attivi da un punto di vista artigianale. Era rinomato per i mulini sull’Agri, per i frantoi, le concerie e le forge.
Un centro dinamico di arti e saperi, di grande vivacità, anche artistica: patria del filosofo Giuseppe Capocasale, definito il “Socrate cristiano”, autore del Codice Eterno nel 1793; di Carlo Infantino, detto il Sellitto, pittore tardo-manierista; di Giacinto Albini, mazziniano e protagonista dell'insurrezione lucana nel 1860, nonché primo Governatore della Basilicata; di Domenico Montesano (1863-1930), matematico di fama nazionale, allievo del Cremona e del Battaglini; di Giuseppe Montesano (1868-1961), fondatore della neuropsichiatria infantile e compagno di Maria Montessori.

Leonardo Sinisgalli diceva poeticamente che era cresciuto “sulla creta e sulla cacca”[7], alludendo a una infanzia semplice, felice ed errabonda, ma aveva respirato un’aria pregna di stimoli e suggestioni, assorbendoli intimamente.

«[...] la mia infanzia è stata bella, sì, se riesce ancora a nutrirmi, con l’età che ho adesso, se non faccio altro che ricordarmela[...]gli spunti grossi me l’ha dati la mia infanzia che poi è durata pochissimo perché io sono stato in paese fino a nove anni [...][8]».

Il padre di Leonardo, Vito, era un abile e intraprendente sarto, la madre, Carmina, una matriarca severa e tenace. Lo zio Giovanni, che lavorava nel mulino per colpa di una feroce miopia che gli aveva impedito di studiare, era un uomo brillante e colto. Fu lui, infatti, ad iniziarlo fin da ragazzo alla passione per la matematica e alla curiosità per la scienza:

 «Risale a quell’epoca il grande stupore che provai quando lo zio con un po’ di colla e un paio di forbici mi spiegò i misteri dell’anello topologico, lo storico nastro girato di 180 gradi su se stesso e quindi percorribile senza interruzione sulle due facce.
Di tutta quella scienza bambina […] rimasero allo zio alcune attitudini che non perdette mai, la bella scrittura e la capacità di calcoli mentali complicatissimi […][9]».

La vera vocazione di Sinisgalli, diceva lui stesso per celia, era quella di diventare fabbro. Era affascinato da queste straordinarie caverne magiche, dove respirava gli elementi primordiali, quasi archetipici, delle prime civiltà mesopotamiche: acqua, fuoco, metalli e aria.
Nella sua fantasia di bambino le prime macchine si trasformano in animali mitologici, in dinosauri.
Confiderà lui stesso questo innamoramento in una delle sue prose di memoria dal titolo eracliteo L’intelligenza è la mano?:

«[…] Devo spingermi molto indietro, più di trent’anni, per segnare il principio della mia amicizia coi metalli. Posso indicare con la punta accesa di una sigaretta, sulla carta sghemba del mio borgo, le quattro fucine di Gagliardi, del Falotico, di Defina, dell’Infantino. Quattro ferrai, in un paese di duemila anime possono significare molte cose [...]. Perché il fabbro deve saper fare tutto, da una ringhiera a una chiave, da un ferro di cavallo a un treppiede, dalle punte per gli aratri ai cerchi delle botti. [...].
I fabbri di Montemurro sanno scegliere il carbone adatto a cuocere il metallo, sanno dosare anche l’acqua e l’arena per la tempera rapida e la tempera dolce. Silvestro Mangialupini e Scipione Basitano, gl’idoli della nostra infanzia, erano famosi in tutta la contrada. Avevano il collo e i polsi e i petti possenti. Quando battevano la mazza sul ferro rovente noi bambini ci precipitavamo davanti alla bottega trascinati da un'ammirazione quasi selvaggia.
Il vecchio maestro teneva nella morsa con la mano sinistra il rosso spezzone, nella destra brandiva il martello e indicava con un colpo il punto dove la mazza, con l’impeto accresciuto dal lungo braccio, doveva schiacciare il metallo. I colpi doppi e tripli si succedevano a ritmo incalzante e sempre più forti via via che il ferro ritornava a raffreddarsi e a indurirsi.
Il maestro rigirava la sbarra dopo ogni serie di colpi, infine batteva col suo martello sopra l’incudine per dar riposo ai suoi aiuti e affondava lo spezzone sotto la brace. [...]. Sul tronco della nobile arte fabbrile venne dunque la meccanica a innestarsi. E portò i suoi primi frutti, facili frutti, meno sudati e un poco insipidi. […]. Mèmore della mia infanzia tra i fabbri, mi sono affezionato agli operai e alle macchine, alle grandi navate, ai meravigliosi utensili[10] […]».

E memore della sua infanzia tra i fabbri, a Montemurro, trova il modo di citare artigiani, contadini e vignaioli anche in occasione di una rivoluzionaria mostra intitolata Le arti plastiche e la civiltà meccanica, alla Gnam a Roma nel 1955.
Insieme a Enrico Prampolini organizza un evento unico nella storia dell’Arte contemporanea del Novecento. 
Accanto a dodici pezzi meccanici, prodotti dalla grande industria, vengono esposti una cinquantina di quadri e sculture di artisti di spicco dell’astrattismo. L’obiettivo non era celebrare le macchine, né la rivista che dirigeva in quel periodo, «Civiltà delle macchine» e neanche pubblicizzare le aziende della Finmeccanica che gli avevano fornito i pezzi.
Nella sua presentazione al catalogo, ripresa in un articolo sul «Corriere d’Informazione»[11], con il suo solito furore, spiega il senso di una “cerimonia quasi sacrilega”:

«Per la prima volta al mondo le macchine saranno trattate come merce, ma come oggetti degni di riflessione, di comprensione, di simpatia… ».

Ma aggiunge anche polemicamente quanto siano importanti le macchine, tanto che persino “la piccola gente contadina, vignaiola, artigiana”, ne avverte l’utilità:

«[…].Non c’è da meravigliarsi se anche la cultura ha accantonato le macchine. Perché - è superfluo ripetere la solita storia - i cinesi, i greci, gli alessandrini, i romani, i goti, ecc. non trascurarono affatto i giuochi, i congegni, gli automi. Così come non li ha mai trascurati il popolo, la piccola gente contadina, vignaiola, artigiana.
È sorprendente constatare quanto sia profondo l’abisso d’ignoranza dei dottori e come sia difficile trovarne uno capace di capire ed amare un bullone o un catenaccio! […]». 

L’età del collegio

Fino ad ora “l'Età del Collegio”[12] di Leonardo Sinisgalli e la sua importanza nella stratificazione formativa e umana, nonché sul consolidamento della sua prodigiosa ferramenta espressiva, non sono state valutate con la giusta considerazione. Eppure tantissime sono le pagine, soprattutto in prosa, che sono state dedicate a questo formidabile e non facile periodo della sua esistenza.

«I professori delle scuole pubbliche di Caserta e Benevento, le due compagini di istitutori, “salesiani” e “carissimi” mi ammiravano e mi detestavano […], i miei successi erano accolti con disagio, perché creavano troppi problemi per la tranquilla convivenza con gli altri […]. La memoria mi riporta a tratti i malvagi tentativi di burle, di dispetti, di ricatti che imbastirono i miei nemici nel periodo più critico, dai tredici ai quindici anni, contro di me. Ero troppo lontano da casa mia, e non ebbi per diversi anni la visita di un parente».

Partito per Caserta all’età di nove anni, nel 1918, passò al Collegio La Salle di Benevento nel 1920, dove studiò per cinque anni, prima di approdare alla facoltà di Matematica e Fisica di via Panisperna a Roma.

«[…] finite le elementari io andai a Caserta. I miei furono molto bravi: non vollero una soluzione diciamo locale, non mi mandarono nei soliti collegi di preti della provincia. No, mi mandarono a Caserta in un grande collegio sempre di preti sì, ma Salesiani. Un collegio dove venivano a studiare anche da Roma. Grande, bellissimo.
E lì io feci le scuole tecniche per due anni. Scuole tecniche, perché io avevo la vocazione della matematica. Poi andai a Benevento, dove feci il Liceo scientifico con risultati mostruosi di bravura […][13]».

Furono anni determinanti per il suo piumaggio, per i “voli” di cui andrà fiero, caratterizzati da docenti “forti” e da stimolanti esperienze tecnico-scientifiche.
Il collegio La Salle era dotato di laboratori all’avanguardia di fisica, di scienze, persino di astronomia e meteorologia. Possedeva persino un radiotelefono.
Inoltre, Sinisgalli ebbe la fortuna di incontrare negli anni dell’adolescenza veri e propri maestri: sia a Caserta, come Mainardi, Cimino o il calligrafo Moscatelli[14]; sia a Benevento dove ebbe tra i suoi docenti fratel Venanzio Vari (direttore del Convitto), appassionato di sismologia, elettricità, meteorologia e che creò sulla torre dell’Istituto un Osservatorio Geodinamico[15]; e quel professore, Capello, che organizzava delle lezioni-spettacolo per sfidarlo e incuriosirlo:

«[Il professor Capello non poteva fare con lui lo show che ogni due o tre settimane preparava con me davanti alla platea sgomenta: dimostrare uno dopo l’altro, a catena, i trentuno teoremi sul cerchio raccolti da Euclide[16]».

Nella città sannita, di certo, l’esperienza lasalliana contribuì fortemente a consolidare i talenti di Sinisgalli.
Nel Furor mathematicus[17], proprio con riferimento anche al periodo beneventano scrisse: «Posso dire di aver conosciuto giorni di estasi tra gli anni 15 e 20 anni della mia vita, per virtù delle matematiche».
Da un punto di vista umano, la situazione non era però facile[18].
Nel 1972, ritornò a Benevento un’ultima volta per visitare il collegio della sua adolescenza…

 

 

Biagio Russo
(Membro del Cts della Fondazione Leonardo Sinisgalli)

 

NOTA PER IL LETTORE: la seconda parte dell’articolo sarà pubblicata nel prossimo numero dei Quaderni.    

 

 

 

 

[1] Il saggio è un estratto di Lo spirito di via Panisperna in Civiltà delle macchine, in D. Cocolicchio e B. Russo (a cura di), “Fisica moderna” in Civiltà delle macchine di Leonardo Sinisgalli, Osanna Edizioni-Fondazione Leonardo Sinisgalli, Venosa-Montemurro 2017, pp. 23-35.

[2] L. Sinisgalli, Mosche in bottiglia, Mondadori, Milano, 1975.

[3] Lui stesso visitò il cantiere nel 1954 e scrisse un articolo dal titolo Una città è nata in mezzo agli alberi e le acque («Civiltà delle macchine», 1954, n. 4, pp. 37-40; d’ora in poi la rivista sarà citata con l’acronimo di Cdm). La villa porta ancora il nome di Sinisgalli.

[4] L. Sinisgalli, L’età della Luna, Mondadori, Milano 1962, p. 205. 

[5] L’essere ad Urbino (dove Filippo studia) lo conduce per analogia alle torri di Benevento, per poi chiudere balenando nel distico finale che sintetizza il “volo” dalla terra natale (Montemurro) all’elegante quartiere di Roma. Milano non è citata, ma si intravede nei “raggiri”.

[6] Si rimanda al capitolo Le macchine, la natura, l’artigiano e il poeta.

[7] “Autobiografia quinta”, in L. Sinisgalli, Il passero e il lebbroso, Mondadori, Milano, 1970, p. 35.

[8] D. Luce, “Leonardo Sinisgalli”, in AA.VV., Conversazioni sinisgalliane. Interviste, dialoghi e testimonianze, FLS, Villa d’Agri 2016, pp. 73-74.

[9] L. Sinisgalli, Un disegno di Scipione e altri racconti, Mondadori, Milano 1975, pag. 19.

[10] L. Sinisgalli, L’intelligenza è la mano?, in «Pirelli», a. IV, n. 6, 1951, pp. 22-23.

[11] L. Sinisgalli, Le macchine faranno concorrenza ai pittori, in «Corriere d’Informazione», 14 maggio 1955, p. 3. Cfr. anche Pierpaolo Antonello, “Le arti plastiche e la civiltà meccanica”, in .ebastiano Martelli e F. Vitelli (a cura), Il guscio della chiocciola. Studi per Leonardo Sinisgalli, Edisud, Salerno, 2012, pp. 349-60.

[12] È il titolo di un volume di Rito Martignetti, pubblicato nel 2009, dalle Edizioni Il Chiostro.

[13] AA.VV., Conversazioni sinisgalliane. Interviste, dialoghi e testimonianze cit., pp. 37-41.

[14] “Tre professori a Caserta”, in L. Sinisgalli, Un disegno di Scipione… cit., pp. 55-60.

[15] Venanzio Vari pubblicò diversi saggi, tra cui Elettricità e terremoti, Il clima di Benevento e I terremoti di Benevento e le loro cause.

[16] L. Sinisgalli, “Scolari adolescenti”, in Id., Un disegno di Scipione… cit., p. 74.

[17] L. Sinisgalli, Furor mathematicus, (a cura di O. Bongarzoni), Ponte alle Grazie, Firenze 1992, p. 66.

[18] L. Sinisgalli, “Autoritratto con scorpione”, in Id., Intorno alla figura di un poeta (a cura di R. Aymone), Avagliano editore, Cava de’ Tirreni 1994, p. 85.

 



 

freccia arancio Torna a Rubriche

 

 

Social

facebook     instagram     youtube

newsletter

 

Inserisci il tuo indirizzo email per ricevere le notizie dal Circolo "La Scaletta" sulla tua posta elettronica.