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 "Ogni forma di cultura viene arricchita dalle differenze attraverso il tempo,
attraverso la storia che si racconta
"

 

Gli Stati generali

Il dramma dell’Ucraina ed il diritto di resistenza

 

Al nome di “dittatore” si attribuisce sempre una valenza negativa, ma nella storia non è sempre stato così. Dal punto di vista concettuale vanno distinte tre differenti fattispecie:

  1. Dictator romanus o a tempo (per esempio Cincinnato, V secolo a. C.), figura monocratica chiamata ad esercitare un potere di governo esclusivo per un periodo di tempo limitato (6 mesi).
  2. Dictator quoad exercitium: è il caso di una persona che – pur eletta democraticamente – degenera nell’esercizio di un potere arbitrario, esclusivo, e tendenzialmente da solo (è il caso di Adolf Hitler e di Benito Mussolini, entrambi eletti con ampio suffragio popolare).
  3. Dictator sine titulo, è il caso più classico nell’uso del termine dittatore: dai golpisti dell’America latina, ai comunisti saliti al potere nel 1918 con un colpo di Stato in Russia, e non per consenso popolare.

Dopo il crollo del nazismo e del comunismo e la cessazione dei due conflitti mondiali che hanno segnato il secolo scorso, finita la contrapposizione tra Est ed Ovest, sembrava profilarsi un’era di pace sull’umanità intera nel nuovo millennio.
L’accendersi od il riacutizzarsi di conflitti non più basati sulle delle ideologie, ma sul fanatismo etnico o religioso, con le brutalità che ne sono conseguite, ha rotto l’incantesimo ed ha posto il mondo civile innanzi al problema dell’ingerenza umanitaria, cioè della possibilità di effettuare un intervento armato all’interno di uno Stato sovrano, con il fine preminente di proteggere popolazioni civili vittime di gravi e reiterate violazioni dei diritti umani fondamentali.
Problema che si ripropone in questo momento con maggiore drammaticità, a causa non solo dell’aggressione compiuta dalla Russia di Vladimir Putin ai danni dell’Ucraina, ma anche per le modalità efferate compiute ai danni di donne, bambini, anziani, malati, feriti, civili inermi, convogli umanitari e Croce rossa, in spregio al diritto internazionale, ai diritti umani tutelati a livello mondiale, alla Convenzione di Ginevra.
A fronte della barbarie sadica dimostrata dall’esercito russo ai danni di donne, anziani, bambini, malati, vengono divulgate da parte dei criminali responsabili della stessa, clamorose smentite negazioniste contro ogni evidenza, oltraggiando la comune intelligenza e la sensibilità internazionale.
La questione che è stata posta di una “guerra giusta” a carattere difensivo da parte dell’Ucraina, per porre fine alle atrocità che offendono ogni sentimento naturale di umanità, di compassione, di giustizia, prende le mosse da lontano, a partire da Sant’Agostino, per essere ripresa da Isidoro da Siviglia, Graziano, San Tommaso d’Aquino ed altri, nella configurazione di alcuni indispensabili requisiti quali:

  1. la sussistenza di un motivo giusto;
  2. la relativa deliberazione da parte di un’autorità legittima;
  3. l’esistenza di una retta intenzione.

Nell’età dell’Illuminismo si diffuse compiutamente il pensiero di una “ragione universale” uguale ovunque e tra gli uomini di ogni era, assertrice di diritti naturali perenni: quelli che oggi sono calpestati dalle armate russe: alla vita, alla libertà, alla proprietà del suolo natio. La centralità dell’Uomo e della sua dignità, ben presente nel mondo greco-romano, nell’ebraismo e nel cristianesimo, cioè nelle principali radici della cultura europea, fu recepita dal Nuovo mondo nella Dichiarazione americana dei Diritti dell’uomo del 1776, e tredici anni dopo venne altresì inserita nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino della Francia rivoluzionaria.
Dopo la Seconda guerra mondiale si realizzò a livello internazionale un significativo ampliamento di prospettiva, in quanto non più e non solo il singolo individuo, ma interi gruppi, comunità e minoranze divennero oggetto di guarentigie internazionali. Con questo spirito fu siglato l’8 agosto 1945 l’Atto di Londra per la repressione dei crimini contro la pace, dei crimini di guerra e di quelli contro l’umanità.
Poco prima, il 24 giugno, era stata redatta la Carta di San Francisco, istitutiva delle Nazioni Unite, aventi lo scopo di assicurare lo sviluppo ed il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzioni di razza, sesso, lingua o religione.
Cinque anni dopo fu sottoscritta la Convenzione europea per la protezione dei diritti umani, che sulla stessa falsariga così recita: «Tutti sono uguali innanzi alla legge ed hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad un’uguale tutela da parte della legge».

Alla stregua di siffatte premesse normative, le successive pulizie etniche, le discriminazioni razziali, le repressioni brutali del dissenso nei regimi totalitari, avrebbero costituito altrettanti crimini a livello mondiale: la Grecia dei Colonnelli, il Cile di Pinochet, l’Argentina di Videla, Cuba, la Cina maoista, l’Urss ed i suoi satelliti, e più tardi la ex Jugoslavia, Timor Est, il Rwanda, l’Iraq, per finire oggi con la proditoria invasione dell’Ucraina, spacciata dalla Russia (nostalgicamente)post sovietica come una mera operazione militare.
Innanzi a dittature sanguinarie – come quella che Putin vuole imporre in Ucraina e non solo – la collettività internazionale non può limitarsi a blande esecrazioni verbali, ma ha il dovere morale e giuridico di intervenire.
Se una guerra è giusta o meno, non possono deciderlo le sorti della stessa, ma le condizioni che la hanno resa necessaria.
L’inerzia o l’intempestività dell’Onu innanzi a tante situazioni che necessitano di rapidità di decisione e di intervento, sono dovute alla obsolescenza delle procedure che ne disciplinano l’agire.
Livio direbbe: «Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur».
La Carta dell’Onu affida al Consiglio di Sicurezza il compito specifico di mantenere la pace e la sicurezza internazionale; ma di tale organismo fanno parte, oltre ai rappresentanti di dieci Stati membri eleggibili ogni 2 anni, 5 rappresentanti degli Stati membri permanenti (Usa, Gran Bretagna, Francia, Cina e Russia). Basta il potere di veto di uno solo di questi ultimi a paralizzare ogni intervento umanitario, come nel caso ucraino, da parte della Russia.

L’Onu, definita da Barbara Spinelli «l’ombra del passato ordine mondiale, che si allunga nel secolo attuale e lo corrompe», deve essere riformata con l’abolizione, innanzitutto, del diritto di veto dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, e l’attribuzione a quest’ultimo del potere-dovere di deliberare a maggioranza dei suoi membri e di attivare, ove necessario, anche interventi armati a tutela dei diritti calpestati.
L’articolo 51 della Carta in esame, in particolare, sancisce che «nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale».
È il diritto vivente, cioè il sentire dei popoli martoriati ed oppressi, che deve prevalere sull’inazione cui sono altrimenti costrette le Nazioni civili a causa dei paralizzanti bizantinismi dell’Onu.
Purtroppo neanche l’Unione europea, nata con una forte vocazione equilibratrice nello scacchiere internazionale e per irradiare ovunque nel mondo la cultura della pace e della solidarietà, è riuscita ancora a creare l’auspicato “Corpo europeo di pace” per potenziare gli interventi umanitari.
Una riflessione sull’ingerenza umanitaria non può prescindere da qualche cenno alla dottrina della Chiesa, che è doverosamente ispirata al valore della pace, ma che in talune circostanze consente il ricorso alle armi.
Quando una sovranità nazionale con gravi atti, (eliminazione di interi gruppi etnici, religiosi o linguistici) va contro il bene fisico, morale, culturale e religioso delle popolazioni sottoposte alla propria giurisdizione, compie dei crimini contro l’umanità e contro Dio.
Ciò autorizza altre autorità, specie quelle superiori, qualora esistano, all’intervento in favore dei gruppi oppressi, sulla base di regole internazionali comuni e certe.
Gli argomenti della sovranità nazionale e della non ingerenza, non possono essere addotti come pretesto per impedire l’intervento in favore delle persone aggredite. Papa Montini ammonì che la pace andava difesa non solo dalle tentazioni delle guerre di aggressione, ma anche «contro le insidie di un pacifìsmo tattico, che narcotizza l’avversario da abbattere, e disarma negli spiriti il senso della giustizia, del dovere, del sacrificio».
«Pace non è pacifismo» – precisò il Pontefice – «non nasconde una concezione vile e pigra della vita, ma proclama i più alti e universali valori della vita: la verità, la giustizia, la libertà, l’onore».
Papa Francesco ha voluto sottolineare di recente: «Le notizie recenti sulla guerra in Ucraina attestano nuove atrocità, come il massacro di Bucha», ed ha soggiunto ai presenti all’udienza del mercoledì in Aula Paolo VI: «Questa bandiera viene dalla guerra. Proprio da quella città martoriata. E anche qui ci sono qui alcuni bambini ucraini che ci accompagnano. Salutiamoli e preghiamo insieme con loro. Questo è uno dei frutti della guerra, non dimentichiamolo. E non dimentichiamo il popolo ucraino».
Francesco, sul palco insieme ai bambini ucraini, ha aggiunto: «Crudeltà sempre più orrende vengono compiute anche contro civili, donne e bambini inermi. Sono vittime il cui sangue innocente grida fino al cielo e implora: si metta fine a questa guerra, si facciano tacere le armi, si smetta di seminare morte e distruzione».
Parole inutili per i professionisti della malafede, che non vogliono saper distinguere i lupi dagli agnelli: il tribunale supremo della coscienza, per loro, è sempre in ferie.
Maxima debetur puero reverentia, scriveva Giovenale nel I secolo d. C. (Satire XIV, 47) nell’Italia, culla del diritto; ma evidentemente Putin non ha mai letto Giovenale, né tutti i testi sulla tutela dei diritti umani in generale, e dei fanciulli in particolare.

 

Avv. Prof. Tito Lucrezio Rizzo

(già Consigliere Capo Servizio Presidenza della Repubblica)

 

 

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