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 "Consegnare il giorno di oggi a quello di domani

custodendo la memoria delle tempeste"

 

Storie

Il mio Aiaccio

  

La richiesta di Edoardo Delle Donne è stata insolita: “Perché non scrivi un articolo sul tuo Aiaccio?”. In genere non sono gli autori a scrivere delle proprie opere letterarie. Ma dopo un primo attimo di imbarazzo, l’idea non mi è dispiaciuta. Anzi. Per cui…

Aiaccio è un racconto illustrato, edito da Lavieri nel 2018, dopo una travagliata gestazione (il primo disegnatore, l’argentino Carlos Nine, è infatti scomparso prematuramente durante la lavorazione).

Non è una storia per bambini, come spesso pensa chi si sofferma sul formato, di grandi dimensioni, e sulla presenza dei disegni. È un modo diverso di concepire la narrazione. La definizione più bella del genere resta quella di Umberto Eco che parlava di “letteratura disegnata”, già negli anni Sessanta, quando il fumetto (e l’illustrato in generale)  non era considerato un genere letterario. Semplice paraletteratura. Per molti, spazzatura. E veniva osteggiata dai puristi, che ovviamente proponevano i classici della letteratura per ragazzi, dal libro Cuore, a Ventimila leghe sotto i mari, da I misteri della giungla nera a I tre moschettieri.        
Guai a leggere Diabolik o Kriminal. Veri pericoli per l’integrità morale delle nuove generazioni.

Negli ultimi anni si è assistito, fortunatamente, a una metamorfosi del gusto nello scenario editoriale. Se a partire dagli anni Novanta del secolo scorso si elevavano peana sulla crisi del settore, da un po’ di stagioni si registra un’inversione di tendenza nelle vendite proprio grazie all’illustrato, dal fumetto alla graphic novel, a dimostrazione di un forte interesse intergenerazionale per questa forma di espressione. Anche per merito di alcuni autori importanti come Gipi o Zerocalcare.

Un po’ per amore della letteratura disegnata, un po’ per l’urgenza di una storia che venisse integrata ed esaltata dalla presenza delle immagini, è nato, quindi, Aiaccio, con le illustrazioni della bravissima Daniela Pareschi.

Un racconto che narra di un pagliaccio, che da giovane sotto lo chapiteau del circo Aladin incanta per la sua bravura di trapezista. Nome d’arte: Angel. Impavido, scopre la paura quando si innamora di Gipsy, gitana, anche lei trapezista.
E per colpa di un tragico incidente si ritrova a dover scendere dal trapezio, per diventare un goffo e triste pagliaccio, che per sopravvivere deve far ridere. Il racconto nasce da due omaggi letterari. Il primo è legato al film di Wim Wenders, Il cielo sopra Berlino (1987).

La potenza delle immagini dei due angeli protagonisti, Damiel e Cassiel, che dall’alto di un palazzo osservano e invidiano il genere umano, per la fragile capacità di provare quelle emozioni che a loro non è dato sentire essendo eterni, e il desiderio di innamorarsi di Damiel (Bruno Ganz) quando entrando in un circo vede una trapezista in lacrime, costituiscono una sorta di poetico antefatto di Aiaccio.

Il secondo omaggio è costituito dalla scena iniziale del racconto: Aiaccio cade rovinosamente per colpa di una cerata, finendo di faccia nella pozzanghera di sterco, lasciata da Menelik, l’elefante indiano, che lo aveva preceduto nel suo numero. Esplosiva è la risata del pubblico.          
È l’inizio del flashback che racconta l’altra vita di Aiaccio, quando appunto era un angelo dalle grandi ali. Il tema della caduta e del riso mi ha infatti sempre affascinato, tanto da dedicargli una ricerca, poi pubblicata.       
Il comico “involontario” crea sempre una liberazione di potente energia fisica e sonora, su cui ancora poco si sa, come ebbe a dire il grande Umberto Eco.  Per cui mi piaceva l’idea che un pagliaccio, che dovrebbe far ridere per professione, per la sua abilità umoristica di “creare” deliberatamente il comico, assumesse “involontariamente” il comico su di sé. Facendo ridere, suo malgrado.


Aiaccio è stato un racconto “fortunato”, per la grande attenzione che ha ricevuto. Tantissimi articoli, belle recensioni, un livello di gradimento molto alto da parte di lettori molto diversi, per età e per interessi. Molti gli inviti, nelle università e nelle scuole, di ogni ordine e grado, nelle librerie, da parte delle associazioni. Grazie anche al doppio registro, quello integrato fra scrittura e immagine.

Ma la prima grande soddisfazione è avvenuta per il passaggio (non ci credevo quando gli amici me lo hanno riferito telefonandomi) nella rubrica televisiva di Bruno Luverà, del Tg1, Billy il vizio di leggere. Poi ne sono arrivate anche altre. Ben tre rappresentazioni teatrali, una a Matera nell’anno della città, Capitale europea della cultura, l’altra a Ferrara, e l’ultima a luglio scorso, presso il Bolshoy, Teatro delle marionette di San Pietroburgo. Il merito di quest’ultima straordinaria avventura in terra cosacca è soprattutto dell’editore Lavieri. Marcello Buonomo e Rosa Lavieri lo scorso anno hanno venduto i diritti di Aiaccio a una importantissima casa editrice russa, a dimostrazione che la loro azienda di “carta” riesce a proporsi in un mercato editoriale internazionale. Regalando anche agli autori della propria scuderia gratificanti emozioni.

La buona sorte di questo libro è da dividersi con Daniela Pareschi, che è stata bravissima nell’evitare il didascalismo illustrativo. I suoi disegni non sono la traduzione del mio testo. Sono un vero e proprio racconto parallelo. E come ha brillantemente scritto un recensore, le immagini dicono ciò che le parole non dicono e il testo dice ciò che le immagini non illustrano. Persino le metafore hanno doppia e parallela vita, intersecandosi in un gioco di rimandi, fortemente poetici.

Se Aiaccio è un piccolo libro d’arte, è anche grazie a Daniela, alla sua visionarietà, alla sua bravura, alla sua capacità narrativa.

 

Biagio Russo

(Cts Fondazione Leonardo Sinisgalli)

 

 Copertina del libro Aiaccio

Copertina di Aiaccio

 

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