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 "Sovente è necessario alla vita che l’arte intervenga a disciplinarla…"

 

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Teatro 4.0: le sfide dell’arte scenica nell’era digitale

È trascorso esattamente un secolo dalla prima rappresentazione di Sei personaggi in cerca d'autore, il leggendario capolavoro di Luigi Pirandello che debuttò il 9 maggio 1921  al Teatro Valle di Roma innovando profondamente il Teatro.
Lo spettacolo, come raccontano le cronache, fu contestato dal pubblico sconcertato nel ritrovarsi  ad assistere a qualcosa di completamente inedito: una compagnia teatrale che durante le prove si ritrova il palco invaso da 6 personaggi, “materializzatisi” in versione tridimensionale, come per magia, da un testo abbandonato dall’autore.
Un  disorientante e misterioso cortocircuito tra vita e arte, reale e virtuale, che ha proiettato lo spettatore occidentale per la prima volta nel “Metateatro”. Infatti, la visione pirandelliana ha spalancato il sipario del ‘900 su una dimensione sconosciuta, “moderna”, operando un passaggio di vera trasformazione estetica dell’immaginario drammaturgico che anticipò molto i tempi. A distanza di un secolo quest’opera propone ancora spunti di riflessione estremamente contemporanei sull’essenza dell’arte scenica, visto che la rivoluzione digitale sta cambiando  l’esperienza di partecipazione e il vissuto della performance  degli artisti nell’Era del 4.0.
Il  pubblico degli appassionati di teatro “tradizionale” non si ritrova, in fondo oggi, a rinnovare  l’esperienza straniante della prima di Sei personaggi in cerca d’autore?
Ormai le declinazioni della realtà virtuale per i palcoscenici immersivi, i fondali digitali con sensori, le nuove modalità di fruizione degli spettacoli dal vivo del millennio in corso, stanno dilatando il perimetro dell’esperienza del pubblico in platea (e online, ahimè!), in cui  l’impronta “Metateatrale”  pirandelliana è ancora punto di partenza per misurare le nuove distanze e prospettive tra realtà e virtuale nell’età del “Metaverso”.
Stiamo di nuovo attraversando un passaggio storico in cui la pratica rituale e artistica più antica dell’uomo si trova a lottare su come mantenere viva la sua missione etica e sociale di specchio dei tempi affinché  The show must go on.
È innegabile, anche a causa della “nuova normalità” (termine orrendo ma ormai sdoganato) post-pandemica, che la crisi del teatro, intesa soprattutto nella difficoltà ad intercettare il pubblico dei più giovani, oltre matinée in orario scolastico, e nel competere con altre forme di intrattenimento più d’appeal, dal gaming alle piattaforme on demand stile Netflix, veda  le maestranze del Teatro impegnate a cercare nuove strategie di “engagement”, o semplicemente vendere biglietti,  per riempire palchi e platee.
Ovviamente sto sintetizzando la complessità del contesto per arrivare al punto, che consiste su un tentativo di riflessione relativa alla direzione che sta prendendo l’arte scenica oggi.
L’antropologia teatrale, che nel corso degli anni ha operato una stimolante analisi comparativa tra culture e tradizioni, oggi si trova a osservare i nuovi scenari dell’uomo in situazione di rappresentazione, cercando di delineare - o sarebbe più esatto dire “comprendere”, dato il confuso scenario -  i nuovi confini dell’arte teatrale.
Non è facile trovare equilibri con la tradizione cercando di inserire negli spettacoli in cartellone  gli “effetti speciali” del multimediale per rinvigorire una narrazione capace di incantare il nuovo pubblico. Per fortuna ci sono risultati molto incoraggianti pensando, ad esempio alle ultime produzioni del Teatro Carlo Felice di Genova, solo per citare quelli più noti in Italia.
Penso al dittico Sull'essere angeli di Francesco Filidei con la coreografia di Virgilio Sieni e Pagliacci di Ruggero Leoncavallo con la regia di Cristian Taraborrelli, per i più curiosi visibili su Raiplay, grazie alla partecipazione di Rai Cultura al progetto.
A mio modesto avviso, l’imperativo è superare la facile tentazione di una super-spettacolarizzazione delle soluzioni hi tech a esclusivo vantaggio dell’offerta di un’esperienza emozionale “Wow”. 
La logica difensiva deve essere quella di subordinare il medium digitale alle caratteristiche intrinseche dello spettacolo teatrale dal vivo, che va protetto nella sua “sacra” essenza, per rimanere tempio del racconto di storie e della nobile tradizione dell’arte dell’interpretazione, includendo anche l’opera e il balletto.
Il rischio, infatti, è quello di diventare “circo” che, premesso il rispetto per l’importantissima tradizione circense, ha però un’altra funzione, come ci ha insegnato anche la mirabile esperienza  d’intrattenimento poetico del Cirque du Soleil.
L’opportunità, invece, è quella di rivendicare e attualizzare la missione “catartica” del Teatro, che attiva una serie di processi cognitivi, tra cui quello dell’identificazione, dell’apprendimento e del pensiero critico, in uno scambio dialettico e diretto con gli interpreti, di trasmissione di storie che si vivono in una dimensione collettiva, in uno spazio/tempo unico, condiviso, che assicura una vibrazione di energia irripetibile.
Un’energia che è quel “fuoco sacro” dell’arte di cui sarà sempre responsabilità primaria degli autori di storie e dei registi  mantenere viva la fiamma,  oltre i tempi e i venti avversi. 
Ed ecco come il pensiero di Pirandello  ci guida proprio con le parole di uno dei suoi sei personaggi:
«Chi ha la ventura di nascere personaggio vivo, può ridersi anche della morte. Non muore più! Morrà l'uomo, lo scrittore, strumento della creazione; la creatura non muore più! E per vivere eternamente  non ha neanche bisogno di straordinarie doti o di compiere prodigi. Chi era Sancho Panza? Chi era don Abbondio? Eppure vivono eterni, perché – vivi germi – ebbero la ventura di trovare una matrice feconda, una fantasia che li seppe allevare e nutrire, far vivere per l'eternità!».  

 

 

Valentina Scuccimarra

(Docente di semiotica dei linguaggi digitali)

 

Dante 2

Scena spettacolo "Sull'essere angeli/pagliacci” da teatrocarlofelice.com

 

 

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