freccia arancio

 

"Le cose più importanti nella vita delle persone sono i loro sogni e le loro speranze,

ciò che hanno realizzato e pure quello che hanno perduto"

 

Memorie

LIBERARSI DALLA DITTATURA ERA UNA UTOPIA ?

 

Nel Circolo Unione in piazza Vittorio Veneto dopo la sala di lettura, dopo i saloni dei biliardi e dei tavolini da gioco delle carte, proprio al fondo dei locali c'era una stanzetta dove uno sparuto gruppo di persone, con grande pazienza ed in silenzio, studiava i complicati sistemi di gioco del bridge. Erano ancora lontani i tempi del sistema del fiore napoletano e quindi imperava il sistema dettato da Culbertson. Per attenuare il dominio anglo-americano il fascismo impose al gioco il nome de  IL PONTE.
Ma il cambio del nome non produsse effetti e perciò il gioco del bridge rimase terreno per piccoli gruppi elitari lontani dalle buffe trovate dei fanatici del fascio. Fatale fu allora che le persone riunite in quella stanzetta, in maniera sussurrata, commentassero gli avvenimenti politici e si chiedessero se aspirare ad un avvento della "democrazia" fosse veramente solo un'utopia.
Mentre i giocatori di bridge "sussurravano" nella stanzetta del Circolo Unione poco più lontano, in via Cappelluti, nella sede dipinta della GIL (Gioventù Italiana del Littorio), un modesto professore di ginnastica dirigeva la formazione della cultura fascista ai giovani balilla ed avanguardisti. Era imponente quando indossava la divisa piena di fregi e galloni e sul capo il cappello metteva in rilievo la grande aquila dorata.
Il professore un giorno si rivolse ai balilla e, indicando il petto, esclamò:«che c'è qui?» e i ragazzi facilmente risposero: «il cuore» , e lui: «e nel cuore chi c'è?», i ragazzi prontamente risposero: «Iddio». «No!», disse il professore, «nel nostro cuore c'è il nostro DUCE!».
Ma il professore, oltre che queste singolari affermazioni,  con l'aiuto del Comandante Federale, si impegnava ad organizzare iniziative e manifestazioni per movimentare ed impegnare la Gioventù del Littorio, e in una bella giornata di sole le coorti dei balilla si ritrovarono nella piazza della stazione dove li aspettava lo sbuffante trenino a vapore della Ferrovia Mediterranea Calabro Lucana.
I plotoni salirono in fretta con a tracolla il piccolo moschetto e, soprattutto, con l'ansia e la speranza di passare una giornata piacevole, quasi come un gioco.
Il treno, a ben guardare, era in miniatura simile ai treni del far west americano, ed il suo sbuffare, i suoi striduli segnali mettevano allegria. Il vento che entrava dai finestrini, oltre all'acre odore del fumo, ogni tanto portava pezzetti di carbone ovvero profumate foglie di siepi. La stazioncina di Parco dei Monaci (di estetica gradevole), ai piedi del  vallone di Cristo la Selva, vide quel giorno passare un treno di giovani spensierati che, in barba al professore, cantavano: «vento portami via con te… ».
Il treno però giunse alla stazione di Montescaglioso e qui le coorti furono immediatamente raggruppate, le canzoni civili cessarono,  i labari e le bandiere furono sistemati sulle aste, i balilla-tamburrini andarono in testa  pronti a cadenzare la marcia. Si iniziò così la lunga salita che portava al paese.
La fatica della marcia in salita, che aveva piano piano spento i canti, scomparve appena raggiunta la piazza dell'antica abbazia che era la meta del viaggio. Sul palco salirono i Comandanti del Littorio: il Podestà, il Console della Milizia, il Federale e, naturalmente il professore con la sua grande aquila dorata sul capo. Sembravano tanti pupazzi di plastica gonfiati con un compressore. Tutti si sforzavano di apparire "pancia in dentro e petto in fuori" mostrando forza ed aggressività secondo le direttive del Littorio.
Seguirono inni ed acclamazioni per il Duce e per il Re Imperatore, la piazza che un tempo aveva  assorbito nella calcarenite i canti e  le preghiere  dei monaci, era ora sommersa da bandiere, fucili piccoli e grandi, aquile imperiali, e su qualche divisa apparivano inquietanti teschi.
Ma i piccoli balilla ovviamente prendevano tutto come un gioco ed aspettavano con ansia il momento del "rancio". Momento che avvenne con gioia e tutti furono invitati ad occupare i banchi dell'asilo comunale ospitato nei chiostri dell'antica e prestigiosa Abbazia. C'erano grandi tavoli che sui lati lunghi avevano dei buchi atti ad ospitare i piatti in sicurezza. La cosa piacque molto ed i ragazzi si divertirono giocando sopra e sotto i buchi.
Finiti i canti, finito il pranzo ed i piccoli scherzi, si riprese la via del ritorno. Certo non c'era più la vivacità del mattino ma la strada che portava alla stazione era in discesa e favorì un ordinato assalto ai posti in legno del trenino. Il trenino a vapore  era giunto nel sud nella seconda decade del 1900 per un investimento governativo assegnato alla Società Milano Nord; era stata così costituita la Società MCL-Mediterranea Calabro Lucana che aveva realizzato brevi tratti di ferrovia.
Sbuffando e riempiendo l'aria di piccole scaglie di carbone il trenino tornò a Matera. In stazione c'erano i genitori dei balilla che con gioia accolsero i figli, ma qualcuno non faceva mistero della preoccupazione circa i messaggi negativi che tali manifestazioni nascondevano. Erano in pochi e per via della imperante dittatura erano silenziosi. E fu allora che la "dittatura"  presentò tutta intera la sua vera e tragica faccia.
Qualche tempo dopo, infatti, i piccoli balilla, questa volta raccolti ed accompagnati dai professori, furono convogliati nella grande piazza di Matera per ascoltare insieme a tutta la popolazione il discorso del DUCE  trasmesso attraverso i grandi amplificatori posizionati sul tetto dell'antico convento di Santa Lucia.
Fu annunciata la guerra e fu pronunciata la parola VINCEREMO.
In quel momento circolò uno strano convincimento, quasi si trattasse di una partita di calcio, in molti applaudirono e condivisero. Di contro quei silenziosi giocatori, abbandonato il tavolo del bridge, cominciarono a tessere una rete di segrete comunicazioni per instillare nella mente e nell'animo della gente il convincimento che liberarsi dalla dittatura non era una utopia ma una necessità. A loro ben presto si unirono altri piccoli gruppi e  tutti crebbero fino al giorno in cui, felici, la libertà e la democrazia furono raggiunte.
Quei ragazzi che salirono e discesero dalla collina di Montescaglioso, guardando i loro padri che avevano lottato per la libertà, piangendo con i parenti ed amici per i morti e le rovine della guerra, ammirando gli sforzi per creare una società moderna e vitale, ebbero finalmente  la gioia di ricevere un vero messaggio di pace e di civile responsabilità e, senza costrizioni, andarono, e vanno, a festeggiare il 25 aprile quale giorno della liberazione.

 

Michele De Ruggieri
(Socio fondatore del Circolo La Scaletta)

 

 Ascolta il testo con la voce di Cosimo Frascella

  

 

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